Inferno e paradiso
Il 17 febbraio 1966 sua Santità Paolo VI promulgava il nuovo Codice di Diritto Canonico, che, al canone 1249 e seguenti, recitava:
Per legge divina, tutti i fedeli sono tenuti a fare penitenza, ciascuno a proprio modo […]. Sono giorni e tempi di penitenza nella Chiesa universale tutti i venerdì dell’anno e il tempo di Quaresima. Si osservi l’astinenza dalle carni o da altro cibo, secondo le disposizioni della Conferenza Episcopale, in tutti e singoli i venerdì dell’anno, eccetto che coincidano con un giorno annoverato tra le solennità; l’astinenza e il digiuno, invece, il mercoledì delle Ceneri e il venerdì della Passione e Morte del Signore Nostro Gesù Cristo. […] La Conferenza Episcopale può determinare ulteriormente l’osservanza del digiuno e dell’astinenza, come pure sostituirvi, in tutto o in parte, altre forme di penitenza, soprattutto opere di carità ed esercizi di pietà.
Insomma, per la prima volta dopo centinaia di anni, si poteva mangiare carne il venerdì, purché si sostituisse la rinuncia con qualche fioretto. Pazienza per i milioni di anime che fino alla settimana prima erano precipitate all’Inferno con la pancia piena di ciccia e l’anima in peccato mortale. Se non avevano fatto in tempo a confessarsi, a nulla era valsa qualche opera buona. Che so, dare il proprio mantello a un poveraccio o aiutare una vecchina ad attraversare la strada. Il precedente Codice di Diritto Canonico non prevedeva sconti o attenuanti.
Proprio il 17 febbraio 1966, che era un giovedì, Roberto e Giovanna decisero di mangiare fuori, perché dovevano festeggiare. Dopo un ritardo terrificante Giovanna aveva finalmente avuto le sue cose. Le ultime due settimane erano state piuttosto difficili. Forse non tutti ricordano quegli anni. Si era prima del famoso ’68, non era facile trovare un medico che ti prescrivesse la pillola. E poi Roberto e Giovanna erano giovani e cattolici romani praticanti. Oltretutto con genitori cattolici romani super praticanti. Come avrebbero potuto… Si erano confessati scrupolosamente, promettendo di non farlo più e credendoci mentre lo promettevano. Ma oramai era passata e potevano festeggiare. Da studenti del primo anno di chimica quali erano, non avevano molti soldi, per cui il massimo che potevano concedersi era Il Troia, una topaia fatiscente in un seminterrato, con tre tavolacci e le tovaglie di carta gialla da macellaio. Ordinarono il piatto meno costoso: salsicce e fagioli. E un fiasco di vino.
Mentre Roberto, sotto lo sguardo di riprovazione di Giovanna si versava il secondo bicchiere (il vino era a calo), si udì come un colpo di cannone. Dopo un istante di silenzio in cui i quattro avventori e il Troia si guardarono l’un l’altro smarriti, capirono cosa era avvenuto. Una trave del soffitto, rosicchiata dai tarli era ceduta di schianto e ora… ma non fecero in tempo a pensare altro che il soffitto crollò. Erano le 23:59 di giovedì 17 febbraio 1966. Giovanna morì sul colpo, schiacciata dalla trave e volò in Paradiso. Roberto, con mezza salsiccia in bocca e soffocato da un mucchio di mattoni, non sapeva che fare. Poi pensò: “Cazzo, se devo morire, almeno finisco la salsiccia”. Inghiottì e morì. Erano le 00:01 di venerdì 18 febbraio 1966. Aveva mangiato coscientemente carne il venerdì e non aveva fatto in tempo a fare nessun fioretto sostitutivo, per cui precipitò all’Inferno (il Troia e gli altri clienti non erano cattolici romani praticanti, per cui morirono e basta).
Arrivata in Paradiso Giovanna, appena si rese conto di cosa era successo, andò in Cassazione. La Cassazione del Paradiso, come tutti sanno, è Maria Madre di Dio (Speculum iustitiae). Appena entrata Giovanna aveva già incontrato la Madonna (Ianua coeli), ma ora si recò proprio alla sua sede (Domus aurea), per avere il suo consiglio (Mater boni consilii). Le sembrava, anche se lei e Roberto non erano ancora sposati, che la Madonna (Regina familiae) fosse la persona più indicata. La Madonna se ne stava in trono, circondata da Angeli, Patriarchi, Profeti, Apostoli, Martiri, Confessori, Vergini e Santi (Regina Angelorum, Regina Prophetarum, Regina Apostolorum, ecc.) ed era visibilmente annoiata. Fece un cenno benevolo a Giovanna: “Di’ pure figlia mia”.
Giovanna espose il suo caso. Roberto non aveva alcuna colpa. Si era trovato in una situazione improvvisa. La sua decisione non era stata meditata. Non si poteva decidere del destino eterno di un’anima per mezza salsiccia. La Madonna, che aveva ascoltato con un sorriso addolorato (Mater dolorosa), sentenziò: “Figlia mia, Noi non facciamo le leggi. Le leggi le fa la Chiesa. Noi le applichiamo. Prendi Me: Maria sempre Vergine, prima, durante e dopo il parto. Si è mai sentita una sciocchezza più grossa? Ma l’ha detta la Chiesa e ora è Legge. Anatema a chi la nega. Mi dispiace, non posso fare niente per te. La via per l’Inferno, da quando Lucifero la tracciò, all’inizio dei tempi, ha una sola direzione”.
La questuante ascoltava disperata la Madonna, a capo basso. Poi levò verso di lei gli occhi pieni di lacrime e disse con voce tremante: “Mater puttanissima”. Appena pronunciate queste parole si udì un rombo di tuono, l’Arcangelo Gabriele sguainò la spada fiammeggiante e Giovanna precipitò all’Inferno, dove rimase in eterno insieme a Roberto.
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