Il “fiore di loto” nella “taologia” del Tai Chi di Massimo Mori
L’uomo libero a nessuna cosa pensa meno che alla morte:
e la sua saggezza è una meditazione della vita, non della morte.
Spinoza (Etica, IV, Prop. 67)
Non ci pare improprio, in generale, il richiamo analogico all’opera di Douglas R. Hofstadter (Gödel, Escher, Bach. Un’eterna ghirlanda brillante), o alla mitica immagine della “biblioteca” d’Alessandria quando si finisce di leggere il “Tai Chi (Tàijí)- Poematica del Principio” del poeta e artista fiorentino Massimo Mori. Otto i capitoli del libro: «Approssimazioni alla formulazione del tema, Marginalità centrali tra filosofia, scienza e saggezza, Potenzialità pervasiva nel respiro della poesia, Silenzio nell’ombra profonda delle parole, Figure spaziali della temporalità relativa, Scenari emergenti dai mutamenti dell’I Ching, Divagazioni nella via e nella virtù del Tao Te Ching, Tipologia del mentore alla scuola dell’esperienza; e, in chiusura, “Indice dei nomi” e “Il divenire». Fra le righe e fuori riga, o fra le pieghe e il dispiego un mondo di informazioni e spunti di riflessioni piuttosto consistenti, quasi inesauribili. In questo mare così pescoso, è la ricchezza delle informazioni plurali e molteplici (ab ovo) del pensiero occidentale e orientale come, anche, la numerosità dei nomi vecchi e nuovi (fino al presente) – che frequentiamo da tempo – che ci riporta, seppure come immaginario collettivo (fissato tra i banchi di scuola e i libri), alla famosa biblioteca alessandrina, l’archivio cioè che conservava i tesori della conoscenza e del sapere acquisiti al tempo.
Fra i nomi vecchi e nuovi che frequentiamo (e solo per guizzi immediati, e non per ultimo senza la malinconia per non poterli tutti rinominare, ovvia è la ragione …), quali citare, qui, per debiti mai estinti? Alcuni e senza un preciso ordine. Della morta stagione, mi sovvien, subito, per esempio, il nome di G. Leibnitz e N. Bohr (entrambi conoscitori, ma non i soli, del pensiero cinese e taoista). Per inciso. N. Bohr è stato in Cina nel 1937 e, alla fine di una conferenza sul modello della nuova fisica subatomica e dell’incontro col pensiero cinese del TAO, «riconobbe al simbolo del Tai Chi Tu la potenzialità di rappresentare nello Yin e nello Yang le polarità opposte, e la miscela di stati sovrapposti all’origine dell’intero divenire del mondo naturale. Quando venne insignito dell’onorificenza del “Collare Danese dell’Ordine dell’Elefante” nel 1947, scelse per emblema il simbolo del taoismo con il motto Contraria sunt complementa» (Massimo Mori, op. cit., cap. VII, p. 188). Altri nomi risonanti e in memoria sono quelli di Einstein, Pauli, Born, Spinoza, Cartesio, Kant, Deleuze, Confucio, Buddha, Lao Zi e Shunryu Suzuki et alia. Della stagione vivente (o da poco scomparsi) mi sovvengono , fra gli altri, i nomi del Dalai Lama e F. Varela; per richiami legati al mondo della letteratura, dell’arte e della poesia, i nomi, per esempio, sono Stefano Lanuzza, Giuseppe Panella, Mario Lunetta, Marco Palladini, Luis Buñuel, Massimiliano Chiamenti …
Ma è la figura del “granchio” che, per alcuni aspetti, invece, ci permette il richiamo e l’accostamento (forse azzardato, ma non troppo) di “Tai Chi(Tàijí)- Poematica del Principio” del nostro all’opera di Hofstadter, “Un’eterna ghirlanda brillante”. Quando Massimo Mori, ricordando il “Tao della fisica” di Fritjof Capra, mette in parallelo la ricerca del fondamento-infondato della fisica nucleare e subnucleare sperimentale moderna (occidentale) con le intuizioni conoscitivo-filosofiche del mondo del TAO – come un insieme di processi, fenomeni ed eventi correlati e connessi (perché interagenti sin dall’origine primordiale), e a partire da un’invariante come principio inconoscibile – è la metafora del granchio infatti che ci viene in soccorso. Il granchio è infatti l’immagine-concetto (un modo procedurale proprio, pare, anche alla scrittura di questo libro- opera di una vita di arte, poesia e pensiero di Massimo Mori) che, pur nell’universale della differenza, è quella che meglio accomuna l’articolazione categoriale e singolare delle due vie differenziali per principio: il flusso energetico quantico-ondulatorio per l’una, la Via/Tao per l’altra.
Le due esplorazioni, infatti, come l’andare del granchio vanno indietro per dis-piegare quanto, tra opposizione e dialettica, coerenza e incompletezza, invarianti e mutazioni/variazioni contingenti, probabilità e statistica, si è fatto avanti nello spazio-tempo dei processi e degli eventi; divenire e fenomeni che ci dicono quali strutture e funzioni complesse agiscono e sommuovono dinamicamente la realtà particolare e caosmica complessiva e complessa.
L’UNO-molteplice/tà indifferenziato/virtualità e poi continuo-discreto la via quanto-relativista percorsa attraverso gli orbitali elettronici. L’indeterminato-determinato DUALE e poi opposti complementari (su e giù, maschile e femminile, notte e giorno, lune e ombra, bene e male, destra e sinistra, terra e cielo, armonia e disordine, conflitto ed equilibrio dinamico …) la via taoista dello Yin e dello Yang, o della ‘taologia’ dei processi nel discorso del nostro. Fra le pagine del libro è possibile ritrovare, almeno per chi scrive, altre immagini come quella del fiore di loto (ma vedremo avanti) per stare nei paralleli analogizzanti che abbiamo scelto per dire due parole sul libro del nostro autore, il Tai Chi.
Certo sono in gioco anche i fiori, ma l’eterotopia del pensiero cinese buddhista del Tai Chi dell’interrogante M. Mori e la sua “taologia” nella corona “Gödel, Escher, Bach” possono trovare ancora un’altra perla in cui specchiarsi in movimento, come l’auto-riflettersi sempre modificato delle città nel racconto “Fedora” di Italo Calvino. Un riflettersi coerente quanto incompiuto, aperto e approssimativamente sempre rinnovato. Ci piace alludere, così, al principio logico-aritmetico che il matematico, logico e filosofo austriaco, Kurt Friedrich Gödel, ha enunciato nei seguenti termini: “un sistema se coerente è incompleto, e se è completo è incoerente”. Un principio procedurale dinamico e insieme operativo non estraneo, ci sembra, alla taologia del Tai Chi. In entrambi infatti funziona una logica del procedere strategico che coniuga coerenza e apertura. Una costruttività cioè che il soggetto del fare, analizzando e ordinando, usa sia che rivolga gli schemi verso la conoscenza e la comprensione concreta e oggettiva della realtà naturale che quella astratta e sistemata del mondo che, simbolizzandola, intende coglierne il divenire rizomatico ma definitivamente chiuso. L’approssimazione, si fa per dire, si trova davanti sempre l’“orizzonte” degli eventi contingenti, il singolare non lineare dei processi.
Se l’approssimazione, come anche la non linearità dell’andare, è cosa che riguarda sia la natura che la cultura, e la sua simbologia icono-concettuale come forma non sostanziale di conoscenza e sapere in cammino, il richiamo analogizzante (di cui avanti), allora, non è fuori luogo.
Scrive Massimo Mori (op. cit., cap. II, p. 29): la taologia del ‘processo’ è intesa come ineludibile operatività del camminare nella generale poematica della natura, e della suddetta porta e la maniglia. Con ‘processo’ non si intende un’articolazione differenziata e sequenziale procedura codificata per conseguire una meta, bensì ci si riferisce al ‘procedere’, alle modalità del ‘come’ andare qualunque sia il cammino e la meta, applicando le virtù enunciate nel Tao Te Ching. […] Nei termini della logica, tra soggetto – il viandante – e predicato – la via – si elaborano la realtà, la necessità e la possibilità del procedere.
Ora, tornando all’aria di famiglia tra la taologia e il principio di Gödel, è proprio il punto della processualità come divenire non sequenziale che, ci sembra, richiami la relazione paradossale quanto complementarità equivalente con il teorema gödeliano di incompletezza: “un sistema se coerente è incompleto, e se è completo è incoerente”. Come dire, alla maniera di Bohr e dello Yin e dello Yiang che gli opposti sono in congiunzione disgiuntiva, o contigui.
In questo “esser-ci” composito e aperto del TAO/VIA, come nella moderna scienza sperimentale e approssimata occidentale delle forze dello “zoo quantistico”, materia-energia, corpo, mente e spirito così non si scindono come l’immanente distinto dal trascendente e superordinato della speculazione classica occidentale. Così come non si scinde in opposti contraddittori il mondo delle diverse forze della materia-energia primordiale (gli opposti sono complementari come diranno i taoisti prima, e N. Bohr dopo), idem il sapere-sapore-sapienza-virtù-saggezza – che intreccia filosofia, scienza, conoscenza, etica, estetica, poesia, arti marziali e non –, secondo la logica del “Tai Chi(Tàijí)- Poematica del Principio”, è un’unitarietà complessa e strada maestra dell’azione come non-azione, il wu wei (il seguire strategicamente silenziosi lo svolgersi dei processi come strategia vincente in situazione, o affatto determinabile a priori).
Ancora un’assunzione paradossale per la visione del pensiero occidentale che punta sull’anticipazione degli effetti a partire da un progetto causativo, rispettoso delle sequenze temporali in uno spazio lineare e reversibile. Una scelta e un “modello” che implica volontà e libertà e, come conditio sine qua non, né simultaneità né l’inversione dei rapporti causa ed effetti.
Nel Libro dei mutamenti però il “Sutra del Loto” ne avanza la possibilità (vedremo avanti). Ma questa non è la sola affinità, o aria di famiglia che è possibile cogliere ancora tra la pratica sperimentale della fisica moderna delle virtualità quanto-ondulatorie (e fino al modello teorico del subatomico bootstrap di G. Chew) e la visione intuitivo-sapienziale del taoismo cinese. Tra i due, oltre il vuoto come “potenza” (lo “zaino” pieno di vuoto), entrano in azione anche le virtualità come relazione-correlazione e necessariamente in termini di trascendenza-immanenza (B. Spinoza/G. Deleuze), e possono essere individuati anche altre somiglianza e parallelismi po(i)etici.
Tra queste corrispondenze, che non vanificano comunque la diversità, c’è la teoria combinatorio-matriciale “S” (scattering, scarto) di Heisenberg (la matrice: un formalismo privo del classico “diagramma” vettoriale) e gli “esagrammi” dell’ordine cosmico taoista – i combinatori contrari cinesi (linee continue/intere e linee tratteggiate/spezzate) – che regolano l’articolarsi degli opposti Yin (linee tratteggiate) e dello Yiang (linee intere) lungo i processi cosmologici e vitali che lasciano spazio alle singolarità casuali. Una somiglianza che non scinde gli opposti in antitesi disgiuntiva ma in contiguità come il “momento stagionale” (tempo non scandito come kronos) e i luoghi come incorporazione di eventi fluenti e fluttuanti. Un mescolamento alla stregua del greco kairós: spazio-tempo propizio, o – mentore Montaigne – in situazione o in loco e durata di processi evenemenziali.
Altro richiamo (un altro passo di gambero) può essere quello tra il “Libro delle mutazioni” (l’I Ching– 2952-2836 a. C.) e il libro “Che cos’è la vita” di Erwin Schrödinger; il libro pubblicato dallo scienziato nella prima metà del Novecento (Il nome di Schrödinger non è legato soltanto al paradosso quantistico del fenomeno del gatto mezzo vivo e mezzo morto. “Che cos’è la vita” è la teoria elettronica applicata alla chimica molecolare della biosfera per riconoscere alle sue mutazioni genetiche il titolo di variazioni contingenti o casuali (l’imprevista emergenza di geni che danno vita al caso singolare e contingente, casuale).
Non meno, infatti, nella storia della cultura cinese testimonia il “Libro delle mutazioni” del 2952-2836 a. C. Il “Libro delle mutazioni” fu attribuito, come si legge nel libro di Massimo Mori (op. cit., cap. VI, p. 144), all’imperatore Fu Xi; l’imperatore (uno dei tre mitici imperatori assieme a Shen Nong e Qin Shi Huang) che – si dice – avrebbe anche tracciato le linee intera e spezzata corrispondenti rispettivamente allo Yang e allo Yin” […] passando dall’interpretazione divinatoria sciamanica (corsivo nostro), tramite (corsivo nostro) l’impiego degli steli di achillea alle linee Yang e Yin come disposizione della mutevole combinazione macrocosmica di cielo e terra e microcosmica della situazione individuale.
In entrambi i lavori (“Che cos’è la vita” e “Il libro delle mutazioni”), senza scendere nei particolari, come si può intuire e argomentare, l’argomento affrontato è quello delle “mutazioni” genetiche; il mescolamento che nell’ambito della natura e della vita opera trasformazioni e riconfigurazioni innovative quanto casuali, impreviste. Ed è qui che possiamo fare entrare, crediamo, in gioco anche il fiore di loto come l’immagine-concetto che, al pari che nella fisica subatomica, mette in crisi la visione sequenziale del determinismo causativo classico occidentale. Ibridando e sovrapponendo (entanglement), per esempio, stasi e movimento, causa ed effetto come, anche, soggettività e oggettività nel comportamento dei soggetti della scelta, le combinazioni non sempre sono lineari come, invece, vorrebbero le sequenzialità lineari attese dal pensiero deterministico e riduzionista. Il loto, come si legge ne il Sutra del loto (op. cit., cap. VI, p. 156), infatti, è una pianta trasgressiva della linearità. Il Sutra del loto esprime così «la legge meravigliosa del renge, il loto», la pianta che ha contemporaneamente i fiori e i frutti eludendo la sequenza temporale, ha radici superando l’immobilità spaziale, e realizza la simultaneità di causa ed effetto».
L’opera di Massimo Mori lascia tante altre cose da pensare, e richiami; altre risonanze tra filosofia e scienza, arte e poesia, cultura, psicologia e antropologia etc. Ma lasciamo la cosa nell’implicito. Il lettore, tra i mille richiami e citazioni, autori occidentali e orientali vecchi e nuovi, classici e moderni, potrà trovare altre consonanze magari attraverso i versi di Dante o le opere di Stefano Lanuzza de il “Bosco dell’essere”.
Numerosamente e propriamente sintonizzati ai bordi delle due visioni (l’occidentale e l’orientale cinese), per inciso, insieme ad un discorrere che coniuga immagini e concetti di rilievo – il vuoto, per esempio, come un zaino pieno e vuoto, o le connessioni come una rete, o gli esagrammi combinati come steli di achillea prima e sfera poi – troverà anche altri nomi prestigiosi e legati alla filosofia e alla scienza, o all’arte e alla letteratura e alla pittura.
Per chiudere con un “pugno di parole”, come scrive lo stesso Mori a termine del suo libro, ci piace dire che questa sua “taologia” (quale terreno di incontro fra le forme culturali, diversa l’invariante e l’orientamento teleonomico tra oggettivismo e soggettivismo), oggi, nel giro espansivo della globalizzazione capitalistica unificante il pianeta terra all’insegna del pensiero unico del neoliberismo individualistico, è la “strada” più propizia per continuare a camminare sui sentieri dell’universale della differenza.
La strada, fra l’altro, è il nastro trasportatore che, ricordando “Sulla Strada” di Jack Kerouac, il nostro, fin dalla prima pagina del suo libro, nomina e indica come il “Dobbiamo andare”: dobbiamo “andare e non fermarci finché non siamo arrivati” (op. cit., cap. I, p. 9). E il soggetto implicito, è il caso di sottolineare, del verbo è il “noi” collettivo (forse il sociale di Confucio) che non nega la pluralità delle individualità (buddhiane) singolari, anzi!
Ed è sulla “strada” del “noi” (qui desideriamo ricordarlo senza lustrini di parata) che lo scrivente ha avuto il piacere di aver fatto (nel presupposto dell’ipotizzato comune “poetic general intellect” e della poesia come ‘fare’) un po’ di cammino trasversale con l’autore del “Tai Chi”, Massimo Mori. Il campo di attività è la poesia collettiva come co-operazione in vista della costruzione/produzione di due opere di poesia collettiva. Opere in cui, per riprendere la parola di Francesco Muzzioli, l’io del poeta ha ceduto parte della sua sovranità egotica per con-dividere una scrittura poetica inter-dipendente ad opera di un soggetto collettivo e sine nomine (il sine nomine in quanto ogni contributo di poesia nell’intersecato testuale non porta – né sotto né a latere – la firma dell’autore che si è prestato all’esperimento). La prima opera, dove, fra quarantadue poeti, compare anche il contributo di Massimo Mori è “Compagni di strada caminando” (2003). La seconda è “L’ora zero” (2014), settantasei i poeti. “Noi Rebeldía”, il nome del soggetto collettivo.
Sulla via della “taologia” di Massimo Mori, oltre a trovare il fior fiore dei temi e delle riflessioni particolari della filosofia e della scienza … e autori in re, è come trovarsi nel campo dell’olistica unità-complessa che, tra pieghe e relazioni dinamiche, danza anche con l’arte, la poesia, la conoscenza, la comprensione dialogica… Una prova d’autore, si fa per dire, che interseca proprietà quantitative e qualitative di primario ordine concettuale, estetico e critico nell’equilibrio che oscilla tra argomentazione e citazioni misurate quanto discrete e appropriate.
Tuffarsi tra le mille pieghe di “ Tai Chi (Tàijí)- Poematica del Principio” del poeta e artista Massimo Mori, per chi scrive, è ritrovarsi anche con un vecchio compagno di strada. Un compagno e uomo di pensiero che in lungo e largo ci conduce sulle vie del “Tao” e che, dalle sue energie quanto-sapienziali, estrae il fare del pensiero e della pratica vivente.
Il Tai Chi infatti ci si presenta come una pratica processuale esperienziale e sapienziale in azione sui sentieri dell’indefinibile Tao, la strada maestra che porta all’unitarietà immanente-dinamica quanto plurale e molteplice di fondo delle cose, pur essendo, come principio, inconoscibile. La metafora taoista dello “zaino”, allo stesso tempo vuoto e pieno, nell’uso e nella funzione del Tai Chi di Massimo Mori, ne fa un libro utopicamente vivo e radioattivo!
(Massimo Mori, Tai Chi(Tàijí)- Poematica del Principio, Edenica, Firenze 2018, pp. 231, € 27, 50)
Marsala, 30 gennaio 2019
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