Athos Bigongiali
Parole
Giovanni Nardi ha scritto un libro che, una volta chiuso, viene subito voglia di riaprirlo. Tale è la soddisfazione provata nel leggere che si vorrebbe non arrendersi all’ineluttabilità della pagina finale, il piacere è stato così intenso che questa pagina non ha ragione di esistere o, se la ha, è solo per rispettare la convezione che tutto ha un principio e una fine, compresi i libri (che però, quelli buoni, non finiscono mai). Il libro è dedicato alle parole ed è il risultato del grande viaggio che Giovanni Nardi ha compiuto in quel vasto mondo, attraverso esperienze di vita e di lavoro – dagli studi liceali e universitari al giornalismo e alla critica letteraria -, sempre connotate dalla sua passione per le parole, per il loro significato, per il loro corretto uso e per la stessa loro diffusione: perché conoscere una parola in più a volte può fare la differenza. Il risultato è, ovviamente, un sunto – Nardi lo chiama brogliaccio, o diario – del viaggio intrapreso e tuttora felicemente in corso. Un sunto fatto di preziosità, offerteci come un dono e al tempo stesso uno stimolo, perché rare o comuni che siano le parole proposte alla nostra lettura, ognuna di esse è una scoperta, una rivelazione e insieme una promessa di nuove avventure conoscitive. Chissà se nel prepararsi a scrivere il libro l’autore si sia chiesto da quale parola cominciare il suo viaggio nel mondo delle parole. Fatto sta che la parola scelta è stata canoscenza, usata una sola volta da Dante nella Commedia e tuttavia tra le più note (Fatti non fosti a vivere come bruti / ma per seguir virtute e canoscenza – Inferno, Canto XXVI). Parola illuminante: lo spirito del libro ne è tutto pervaso fino alla conclusione e oltre, inducendoci a provare il piacere della rilettura.
Ma anche le altre parole hanno lo stesso effetto.
Divise per capitoli, suscitano altrettanta curiosità e voglia di saperne di più, da quelle tratte dalla Divina Commedia (gli hapax, ossia i termini usati una sola volta da Dante, e altrettanto imperdibili le cosiddette parolacce) all’ultima, quel petaloso, entrata di recente nel nostro vocabolario. Inteso come frutto di un viaggio il libro accompagna il lettore nello sterminato mondo delle parole facendogli di volta in volta da cicerone. Lo fa con umiltà, ma senza vietarsi il gusto degli approfondimenti (la ricerca delle etimologie, le spiegazioni dei proverbi e così via), unicamente mosso dal desiderio di condurci, attraverso la condivisione del sapere, ad una migliore conoscenza di ciò che siamo. Lo fa anche per sé (assecondando in questo certi gusti del suo autore), per il brivido che comporta il misurarsi con i giochi di parole, gli etimi falsi o inventati, le giravolte sulla giostra delle letterature sperimentali, ma soprattutto lo fa – e qui è il suo approdo – per riflettere insieme sulla nostra lingua. È qui che il libro si fa lezione e l’autore maestro: nel mostrarci l’italiano per quel che è, vivo e vegeto e studiatissimo nel mondo, ad onta della versione che lo vorrebbe colonizzato da altre lingue. Una versione da provinciali, che non meritiamo e contro cui il libro si batte esaminando il lungo elenco delle parole provenienti sì da altri idiomi ma entrate nell’uso comune fino a italianizzarsi: come sport, handicap, hostess (per dire di alcuni noti anglicismi). O come il sostantivo costituzione, anch’esso mediato da altre lingue eppure così italiano da averci fondato su la storia più bella della nostra Storia.
Quella a cui ci rimanda il titolo del libro.
Quella della libertà di parola.
Giovanni Nardi, Libertà di parole, Pacini Editore, Pisa, 2016, pp. 118, € 10,00.
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