” qui non è il Vostro, quièoraquiora
[…] / virtuali tempuscoli massa critica
crack neutroni crackers
gravitano fiammiferi di pulsioni pulsar:[…] ”
Aa. Vv., Compagni di strada caminando (2003)
Elaborando il tempo del poeta Giorgio Moio è, a parere di chi scrive, un “diario”. Il diario in cui l’autore, usando l’interpunzione sospensiva, passo dopo passo, cristallizza gli istanti della durata temporale come un intervallo che, racchiuso tra i puntini della reticenza, registra un insieme di frammenti comunicativi come acide riflessioni che si abbattono sull’essere storico-materiale della trasformazione in atto, una notte bianca. Acido ri-flettere in quanto esercizio spirituale erosivo dell’ovvio amministrato. Un’erosione che si concentra significante tra un istante e un altro degli intervalli, mentre l’attimo prende la figura dei punti di sospensione. Il coagulo del pensiero quella del frammento istantaneo: un fotogramma temporale quale luogo disvelatore. Una dimensione dinamico-critica che si condensa, appunto, nel coagulo del frammento: la densità che la lingua coglie e rende nel simbolico-espressivo dell’immediato apparire come pro-duzione di controcanto, la produzione cioè del conflitto repulsivo che rompe con l’ordine esistente.
Che tale dire repellente, in questo accattivante diario del poeta Moio, richiami frequentemente la parola della poesia e dall’allegoria non fa certo meraviglia! Giorgio Moio è da tempo che è soggetto creativo e, dentro la sperimentazione poetica per semiotica e procedimenti stranianti (non per ultimo in questa prova di “Elaborando il tempo”), aduso al debordamento dei confini.
Così, stilisticamente, non ci sorprende, se la composizione dei frammenti, sia in apertura che in chiusura della riflessione territorializzata, è racchiusa fra i classici tre puntini di sospensione; come a dirci che nella “durata” del flusso temporale elaborato non c’è taglio che a partire da un antecedente incapsulato, mentre l’articolazione, tra un vuoto e un altro dei punti in gioco, è il loro pro-dursi semantizzato. Una frequenza d’onda che, tra una sosta e un’altra del riflettersi criticamente, si pausa continuum di scatti risentiti.
Del resto, e non a caso, ci sembra che il tempo verbale scelto – il gerundio – che qualifica la tensione vibratoria, articolata fra puntini di sospensione, non poteva che essere che questo, il tempo verbale cioè che al tempus lascia la propria interna inesauribile vitalità neghentropica, la forza cioè che non conosce determinazioni assolute e temperature sigillate.
I puntini di sospensione con la loro storia logico-grammaticale, e fuori ogni dubbio, sono lì inoltre a scrivere e a ricordare che il pensiero che si fa linguaggio scritto deve decidere dove tagliare per cominciare un discorso che rimane in movimento: non c’è obbligo metafisico di mettere un punto definitivo: il flusso temporale, solo artificialmente, sopporta il punto di chiusura definitivo. Per esteriorizzare simbolicamente il quid significante, il pensiero e il linguaggio ospitante debbono così fare i conti con la determinazione-indeterminazione della stessa de-formità processuale in cui si muovono, e ciò anche se le immagini metaforiche in circolo fermano percezioni dentro forme circoscritte.
Peraltro nella scrittura c’è sempre un altrove allegorico e allusivo che (come nel caso del fare del linguaggio della poesia) puntualizza denudando continuamente il tessuto che ogni soggetto tenta di rettificare e bloccare. E, nel caso, il pensiero per frammenti di Giorgio Moio ne è chiaro esempio. Giuste immagini storiche inequivocabili, allora, per non rimanere nel vago, lasciamo qualche indicazione di merito: la posizione che, non a caso e per esempio, inchioda il tempo dell’orinatoio comunicativo modello Berlusconi (figura ricorrente e in non pochi passaggi dei frammenti): “ … l’importanza di parlare è la comunicazione, a parole siamo tutti bravi, basta chiedere a Berlusconi, il politico più bugiardo della politica italiana dopo Craxi: un bugiardo con manie di persecuzioni…” (p. 7).
Se qui la salacità dell’immagine si chiude sulle due figure-simbolo di Berlusconi e Craxi, in altri punti il pensiero per frammenti del poeta Giorgio Moio non risparmia neanche il tempo dedicato alla poesia: “… prima di avvicinarmi alla poesia e alla critica […] visto i tempi in cui viviamo, spesso mi assale la convinzione di aver sprecato il mio tempo…” (p. 37). Ma l’apertura del tempo, e in altri frammenti, non manca però di far sentire l’emergere pulsante come istanza positiva; una spinta cioè come se fosse una tendenza-latenza che sopraggiunge per sbalzi d’attimi (E. Bloch direbbe – forse – per l’eccedenza d’essere che deborda dal/nell’ ‘oscurità dell’attimo vissuto’); è la pulsione reagente della poesia. La poesia si fa voce dell’utopico e del dire-altrimenti: “… in un certo senso chi produce poesia deve sempre tener fede a un allure allegorico, metaforicamente utopico, a un linguaggio della contraddizione, palinodica, che non affabuli ma aggrovigli, che non addomestichi ma interroghi…” (pp. 37-38); “… sul piano strettamente stilistico una poesia deve contenere un accumulo delirante di parole deliranti che il poeta, come il chirurgo, col bisturi scortica, scardina, apre squarci ogni volta che il risultato si avvia verso l’ovvio…” (p. 38).
Non è possibile, in questo suo “elaborando il tempo”, che la poesia – afferma con forza il poeta Moio – lasci da parte la demistificazione per abbandonarsi al “piangersi addosso” in interiore isolitudine (p. 38); altra cosa invece il raccogliersi in solitudine per scattare e aggredire la bêtise imperante della mercificata retorica contemporanea.
Il tempo della poesia è invece il contrarsi del corpo della tigre nell’istante in cui ogni piccolo frammento di forza si raccoglie per scattare e lacerare ogni laccio formattante e soffocante cui il tempo della rissosità del capitalismo globalizzato sottopone il vivere individuale, collettivo e libero. Aggredire il tempo di questa sofisticata omologazione capitalistica, che rettifica come organica “spettacolarizzazione rissosa” diffusa, diventa allora impegno discernibile e differenziale non più rimandabile, così come la stessa pratica del pro-durre pensieri critici per acidi frammenti non può e non deve rimanere aliena all’azione alternativa.
Ma, in chiusura di questo nostro cammino sparso, lasciamo la parola a due dei frammenti della scrittura dello stesso Moio: «… la “pratica del frammento” è di un’importanza camaleontica […] addita continuamente le piste scivolose […] per farsi portatrice di un linguaggio materico e contraddittorio, mobile ed eterogeneo, sostenitore di istanze problematiche… » (p. 52). Per cui, pungente e lungimirante, occhio alla demistificante allitterazione “… riferimenti assoluti non esistono: apriti al witz, poeta, al vizio del witz…” (p. 56). La scelta dell’ultimo frammento del libro di Moio è quella di suggerire una vigile coscienza de-assolutizzante e non, di certo, un cartellino di divieto all’impensato, l’imprevisto che, producendo eccedenza sensonora, fa capolino dove witz stride con vizio!
(Giorgio Moio, Elaborando il tempo, Edizioni Cerchio Rosso, Napoli 2011, pp. 57, € 12, 00)
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