Quando è successo?
Per anni, anzi per decenni, ci è stato detto che la nostra era una democrazia giovane, fragile, che andava difesa, accudita e coltivata come un bonsai. E come non crederci? Erano i tempi dell’arco costituzionale; in Parlamento sedevano i rappresentanti di un partito dichiaratamente neofascista; il 70% dei magistrati e degli alti burocrati provenivano dalle gerarchie del ventennio e avevano goduto della lungimirante amnistia voluta da Togliatti. Erano i tempi dei tintinnii di sciabole, con i quadri del PCI che spesso passavano la notte fuori casa. Erano i tempi delle Brigate Rosse e delle leggi speciali.
Poi, improvvisamente, abbiamo appreso di vivere in una democrazia solida e matura. Quando è accaduto? C’è una data precisa? Facciamo delle ipotesi: la sconfitta al referendum sulla scala mobile? la fine dell’unità del Sindacato? il fatto che il Presidente del Consiglio smettesse di festeggiare il 25 Aprile? la bocciatura dell’articolo 18?
Non lo sappiamo. Ma che liberazione potere insultare impunemente una donna che difende una zingara accusata di un furtarello! La poveretta era già in catene e un energumeno la strattonava, mentre la figlioletta atterrita si era rincantucciata chissà dove. La donna è intervenuta, non per giustificare il furto, ma per deprecare la violenza. Puttana la zingara! Puttana lei! La folla ululava nella sua compatta cattiveria.
No, questo non è ancora fascismo, non è ancora razzismo: è qualcosa di peggio. È lo scatenarsi dei peggiori istinti vellicati dagli imbonitori di turno.
Mentre gli uomini più ricchi del mondo stanno seduti là in alto sui loro mucchi di miliardi di dollari, benevolmente sazi e distratti, noi ci siamo guardati indietro e abbiamo deciso di illustrare questo numero del Grandevetro con le opere dell’Impressionismo tedesco, a cavallo del primo dopoguerra, nella speranza che la Storia ci insegni qualcosa.
Ma su tutto questo, su questa violenza fisica e verbale che sta appestando l’aria ci torneremo. Potete scommetterci.
Per legittima difesa.
La Redazione del Grandevetro
Vivo a Roma, tutti i giorni mi sposto sugli autobus affollati e noto una crescente violenza verbale nei confronti di persone di colore, un odio non giustificato da alcuna azione, soltanto dalla presenza di qualcuno che all’apparenza è diverso da noi. C’è sempre qualche benpensante che mormora frasi di intolleranza. Per quanto dette a bassa voce, così vicini come siamo gli uni agli altri, sono raccolte da qualche imbecille che aggiunge di suo altri commenti: “Siamo invasi”, “Non siamo più padroni in casa nostra”. “Ci rubano il lavoro”, “C’è d’aver paura, questi sono cattivi, mi fanno paura”. Spesso mi scontro con chi pronuncia queste frasi, e cerco di metterli in difficoltà. Giorni fa una vecchia signora vede salire un ragazzo di colore, cercando consensi tra i vicini esclama: “Questi africani sono violenti e c’è da aspettarsi di tutto, sono malvagi di natura”. Allora l’affronto:”Cara signora invece i nostri antenati bianchi che andavano sulle coste africane a deportare intere famiglie per portarle schiave in altro continenti, erano buoni, che mi dice in proposito, erano buoni?” Non sa cosa rispondere e dice all’amica: “Scendiamo, non ho voglia di sentire questa che ha voglia di dire sciocchezze”. “Scenda signora, scenda subito perché la sua presenza appesta l’aria”, le rispondo. In fretta e furia scende dall’autobus seguita dall’amica. Ciò che mi stupisce e mi indigna non è soltanto l’ignoranza della vecchia e saccente signora, ma il silenzio di tutte le persone che sono sull’autobus.