L’ALTRA AVANGUARDIA di Janus

                            Ci piace chiudere l’anno pubblicando qualcosa di bello, un’anticipazione dell’inserto                                                           L’altra avanguardia dal Grandevetro 246 che viaggia verso le vostre case.                                                                          E’ anche un omaggio a Janus, amico e antico collaboratore della nostra rivista, che in questo feroce anno ci ha lasciato. Partendo dal passato si postula un nuovo canone nelle cose dell’arte.

Valga come augurio per il Nuovo Anno, che sia davvero Nuovo e Buono. Auguri!

(Romano Masoni, Le colpe dei santi, 2009)

L’altra avanguardia

di Janus ( Roberto Gianoglio, 1927 – 2020)

 Il Secolo Ventesimo fu grande e meschino per le sue molte vicissitudini, la storia gli affidò il com­pito di salvare la democrazia compromessa dalla sua debolezza e dall’aggressione delle molte tirannie sorte in Europa, ma in qualche modo ci riuscì. Dedicò i primi decenni del secolo a salvare quello che la follia del tem­po stava distruggendo, operò attraverso la letteratura, attraverso la poesia, attraverso la filosofia, attraverso le sue molteplici idee. Nella crisi del Ventesimo Secolo so­prattutto l’arte ebbe un ruolo importante a contrastare le forze oscure che incombevano sulla società. Mentre nel mondo intero i massacri non avevano alcuna inten­zione di fermarsi, le avanguardie storiche seppero erige­re i loro baluardi, cercarono un nuovo linguaggio, si af­fidarono soprattutto alla loro intelligenza, crearono una nuova sensibilità. È stato un periodo memorabile, un’esperienza collettiva meravigliosa, le principali avanguardie storiche indicarono nuove prospettive di salvezza: dadaismo, futurismo, cubismo, surrealismo, astrattismo, espressionismo e molte altre ancora ebbero la fortuna di essere rappresentate da artisti geniali. La visione dell’arte cambiò totalmente la nostra sensibilità estetica. Noi siamo figli di quelle avanguardie che furo­no una delle più grandi rivoluzioni del secolo, discen­diamo da quelle avanguardie, senza di loro ci senti­remmo mutilati. Nulla fu come prima, l’arte, nel bene e nel male, si allontanò velocemente dal suo passato e molte volte lo rinnegò, ma con il tempo il suo potere di­venne eccessivo, impedì di vedere quello che nello stes­so tempo avveniva intorno a lei: un mondo fluido ed eterogeneo che non è facile descrivere. Qualche cosa di inarrestabile si era messo in movimento, un mistero che ha generato altri misteri paralleli.

Non esistono soltanto le avanguardie sto­riche, ma esiste anche un’altra avanguardia sconosciuta, un’avanguardia silenziosa, un’avanguardia che ha espresso altri valori estetici altrettanto alti, un’avanguardia invisibile, talvolta reticente, talvolta ombrosa, talvolta timida, costretta a vivere in una zona marginale, nell’ombra e nella diffidenza, considerata talvolta retrograda, perché non aveva aderito ai grandi movimenti storici dell’arte, un’avanguardia eccentrica, composta da artisti solitari e talvolta dal carattere anar­chico e difficile. Non appartenevano a nessuna scuola e questo nel mondo moderno è un errore o un peccato e soprattutto un ostacolo. Un’avanguardia senza nome perché avrebbe potuto avere molti altri nomi. Era ap­portatrice di una guerra silenziosa.

Si tratta di un gruppo molto numeroso di artisti di grande talento, ma un poco alla volta sono stati dimenticati o trascurati perché non fanno clamore. Il loro torto maggiore è quello di non rientrare negli schemi ufficiali dell’economia e del mercato che ha fatto la fortuna di tanti movimenti artistici più tradizionali. Non fanno parte del sistema e allora sono esclusi dai musei, dalle grandi esposizioni storiche, dalle gallerie, dalle riviste specializzate in arte d’avanguardia, dall’attenzione di illustri critici d’arte. Sono stati scon­fitti dal conformismo. Non è facile classificarli, non si sa bene dove collocarli, e allora era meglio ignorarli o aspettare la loro morte. È accaduto, per esempio, ad un’artista geniale come Carol Rama (1918-2015), riscoperta dopo la sua morte, nonostante alcuni timidi successi che ebbe in vita.

Cerchiamo di fare qualche altro esempio, ma ogni nome ha una propria storia.

C’è qualcuno che si ricorda ancora di un pittore raffinato come Gianfranco Usellini (1903-1971)? È un eretico. Ha avuto in passato qualche interessante esposizione e un certo numero di elogi che gli erano dovuti, ma timidamente, ed è rimasto lontano dallo splendore dell’arte, riservato talvolta ad artisti di minor valore.

Quel geniale artista che è Alberto Savinio (1891-1952)) è spesso ricordato soltanto in relazione con il fratello Giorgio de Chirico, ma sembra una me­teora. È un artista di grande originalità, non è inferiore al fratello, ma sembra quasi un’anomalia nella storia dell’arte. È un pittore metafisico? È un pittore eclettico? È un pittore eretico? È un pittore surrealista o vicino al surrealismo? È un pittore filosofo. Non ha ancora trova­to il posto che merita veramente.

(Alberto Savinio, Scatola sonora, 1929)

È inutile ricordare Alberto Martini (1876­1954), è un artista di un’altra epoca, non è un artista moderno, non si sa bene se appartiene ancora all’Ottocento o al Novecento, è ricordato come se fosse un anacronismo, ma è un anticipatore.

Se ci avviciniamo di più verso il centro del secolo possiamo scoprire un’artista eccezionale come Léonor Fini (1908-1996), che a suo tempo ebbe una grande fama, ma ora è ricordata soltanto come una pit­trice bizzarra ed un po’ stravagante. Eppure è una delle grandi pittrici del secolo. Raccontò a modo suo l’enigma della femminilità, le sue trasformazioni, i suoi travesti­menti, la sua crudeltà.

Potremmo anche ricordare Stanislao Le­pri (1905-1980), grande amico di Léonor Fini con la quale conviveva a Parigi, visse quasi sempre all’estero ed è considerato quasi un pittore straniero, autore di una pittura misteriosa e inquietante, di cui da tempo si è persa ogni traccia.

C’è anche il grande Fabrizio Clerici (1913­ – 1993), un artista di straordinario talento, inventore di un mondo esotico, ma la sua pittura sembra che si sia allontanata nel tempo, come se le sue invenzioni non appartenessero alla nostra epoca.

Nel dopoguerra a Torino e dintorni, molto nei dintorni, si sviluppò un gruppo di artisti che cerca­vano di esprimere nuovi valori estetici. Avevano preso il nome di Surfanta, i loro nomi forse dicono poco ai con­temporanei, ma sono stati artisti di grande originalità: Abacuc, Lorenzo Alessandri, Lamberto Camerini, Enri­co Colombotto Rosso, Giovanni Macciotta, Mario Molinari, Raffaele Ponte Corvo. Erano particolarmente estrosi, ma si sono presto dispersi perché non avevano il senso dell’unità e della solidarietà. Preferirono poi an­dare per proprio conto e un poco alla volta si sono di­sgregati, inevitabilmente divennero invisibili, ma la loro vita è quasi un romanzo, non privo di contraddizioni.

Si potrebbero ancora fare molti nomi di artisti che preferirono condurre lotte solitarie per pro­prio conto, diffidenti gli uni verso gli altri: Riccardo Tommasi Ferroni, Gustavo Foppiani, Romano Parmeggiani, Sergio Ceccotti, Armodio, Sergio Sarri, Gianni Del Bue, Claudio Bonichi, Andrea Granchi, Bruno Peluzzi, Ontani, Angelo Palazzini, citati molto a caso, ecc. ecc., ma ognuno di loro costruì un proprio mondo personale. Sono come le isole che galleggiano nel mare.

Nella scultura esistono eccezionali talenti.

C’è ancora un protagonista non seconda­rio di questa storia sconosciuta, Italo Cremona (1905-­1979), che fu anche un ottimo scrittore di romanzi che forse oggi più nessuno legge, e molti altri ancora: Mas­simo Rao, Alberto Abate, Franco Assetto, Enrico Allimandi, e tra quelli ancora viventi Giovanni Modica o Agostino Arrivabene, tutti diversi gli uni dagli altri, ma sapevano, e molti ancora sanno, dipingere il sogno ed il soprannaturale. Sono i continuatori di un’epoca eroica, ma ognuno di loro ha apportato un segno diverso. Cer­to, non sono degli sconosciuti, ma sono un’anomalia nella storia dell’arte.

Che dire poi di Dino Buzzati, pittore di estrema originalità e anche famoso scrittore? Ma forse la letteratura non giovò molto al pittore.

Oppure Gillo Dorfles, uno studioso dell’arte di grande razionalità, ma nello stesso tempo pittore visionario.

Tra gli artisti del passato ha lasciato una traccia indelebile il pittore Scipione.

È impossibile non ricordare in questo ra­pido elenco il nome di Giovanni Testori (1923-1993), raffinato scrittore di argomenti artistici, e commedio­grafo, ma anche un pittore che conosceva l’ebbrezza dell’immaginazione. Non si può dire che sia stato di­menticato, dopo alcune belle esposizioni del passato, ma sarà sempre molto difficile capire quale ruolo ha as­sunto nella storia dell’arte.

Un caso particolare è quello di Guido Seborga (Guido Hess, 1909-1990), un carattere impe­tuoso e uno scrittore di classe e talvolta, ai suoi tempi, di successo, pubblicato da importanti editori (ma avrebbe meritato di essere incluso nella collana dei Me­ridiani di Mondadori, che è stato il suo editore). Oggi non so se è ancora molto letto. Condivideva con Pasolini il realismo della scrittura, ma forse con più vivacità. Poi ha scoperto la vocazione pittorica e ha intrapreso una ricerca estetica molto irregolare, ispirandosi soprattutto alle incisioni rupestri. È un intellettuale e pittore di grande valore, è la voce della coscienza popolare, ma non credo che oggi sia molto ricordato.

Qualcuno sa chi è, per esempio, Walter Mac Mazzieri (1947-1998)? È uno sconosciuto che ha creato un mondo molto personale e molto irregolare.

Qualcuno sa chi era Lanfranco (Frigeri) che condusse una vita solitaria nella campagna manto­vana e intanto raccontò una storia onirica straordina­ria?

È rimasta qualche traccia di un pittore di eccezionale bravura come Tito Salomoni (1928-1986)? I suoi quadri raccontano l’avventura della più ribelle im­maginazione.

Tra i più grandi talenti del nostro recente passato non possiamo dimenticare Sergio Vacchi (1925-­2016), un pittore dal carattere un po’ tempestoso, ma è stato uno dei più estrosi artisti del Ventesimo Secolo per l’originalità delle sue creazioni pittoriche e per la sua grande versatilità e la ricchezza dei temi e argomenti trattati. È stato recentemente ricordato in una bella esposizione a Bologna, ma le porte dei musei non gli sono state ancora aperte. Raccontò storie di grande fa­scino, risuscitò i miti del passato e li rese moderni.

Tra le ultime generazioni si potrebbero fare i nomi di Romano Masoni o di Daniele Masini, o quello di Adriano Pompa o di Renzo Mezzacapo, Ettore Le Donne o Bobò, pittori solitari e molto gelosi del loro lavoro, e sicuramente dimentico molti altri protagonisti di questa stagione così aggrovigliata.

(Antonio Bobò, Sulla parete di Pablo, 2014)

Questi pittori rappresentano la ricchezza dell’arte, alla quale i responsabili dei musei italiani potrebbero attingere con facilità per completare le loro collezioni e rendere giustizia a un lavoro indimentica­bile. Tocca a loro indicare i molti sentieri dell’arte ita­liana ancora sconosciuta.

Hanno fatto a modo loro una pittura ari­stocratica e rivoluzionaria, ma hanno avuto il torto di non aderire a nessuna scuola. Hanno scelto di prosegui­re da soli il loro cammino e molti sono stati puniti con l’oblio o con la diffidenza, poiché quel secolo non ama i solitari. È un secolo che predilige la confusione e ha il mito delle masse.

Si tratta dell’altra avanguardia che in par­te è ancora sconosciuta, che ha raccontato storie straordinarie, che ha inventato nuovi mondi, che ha esplorato territori ignoti. Un’avanguardia ribelle e in­sofferente delle regole e delle scuole.

Quei pittori hanno disegnato castelli im­maginari, dove si svolgono danze macabre e danze car­nevalesche, dove avvengono travestimenti, trasfigura­zioni, riti paganeggianti, viaggi in paesi inesistenti, tra­smigrazioni e rivisitazioni di un passato onirico o in un futuro allucinato, avventure poetiche ed erotiche, sono stati i narratori delle infinite favole che la mente umana può concepire.

Sono pittori irregolari, talvolta indiscipli­nati, ossessionati dai loro sogni, hanno trasformato il reale in fantasia, l’impossibile in realtà, hanno percorso strade che conducono in altri mondi, hanno risuscitato tutto quello che è paradossale o assurdo, non amano la banalità, ma cercano l’eccezione poiché la vita spesso è banale o troppo materialista e allora si rifugiano den­tro una dimensione anomala. Sono i cavalieri erranti della pittura, in ricerca costante della trasgressione, ma non sempre la pittura è imitazione o mimesis, come da tempo immemorabile dicono i filosofi. Non ubbidiscono né alle regole del passato né alle ideologie, di cui molta pittura moderna ha bisogno per sopravvivere, sono at­tratti solo dalle utopie e la loro pittura è utopistica e distopica. Si sono imbattuti nel surrealismo, spesso non hanno voluto seguirlo, ma hanno capito che potevano dipingere l’ignoto, si sono imbattuti nella psicoanalisi ed hanno imparato che i loro sogni potevano avere re­conditi significati. Non sempre hanno avuto il coraggio di sostenere le loro idee, si sono trovati in una specie di deserto, ma non si sono arresi al conformismo: qualche volta si sono sbagliati, molte altre volte hanno dipinto opere eccezionali, forse più ermetiche di quelle dei pit­tori più moderni, ma si sono ricordati che la pittura ha anche il compito di trasmettere sentimenti ed emozioni. È una galassia immensa, dove vi sono innumerevoli personalità, spesso in contraddizione tra di loro, diver­sissime l’una dall’altra, dove c’è il buono ed il cattivo, i bravi ed i mediocri, ma nel complesso è un universo tut­to da scoprire e da studiare.

Certo, molti hanno avuto fortuna, ma si­curamente non basta. Molti altri non fanno più parte dei nostri ricordi. I musei non si sono ancora accorti della loro presenza, non hanno ancora spalancato le lo­ro porte. Le storie dell’arte sono reticenti o eccessiva­mente prudenti. Temono di sbagliare. Dovrebbero esse­re riscritte da capo.

Rappresentano un’altra avanguardia mol­to più individualistica, non si sa bene dove collocarli. Le loro esperienze sono state disordinate e non sempre molto coerenti. È una specie di giardino segreto che meriterebbe un giorno di venire di nuovo riscoperto.

(Janus, ritratto da Andy Warhol nel 1970)

 

Testo stampato su GRAPHIE 2019 (il numero è andato smarrito nelle mie ultime baraonde [Anno XXI. N. 87, n.d.r.]). J.

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*