I MECCANISMI DELLA POST VERITA’ di Giulio Rosa

“Jules Maigret era il commissario capo della polizia giudiziaria di Parigi. Abitava con sua moglie Louise in boulevard Richard Lenoir. La vita coniugale della coppia scorreva tranquilla, animata giusto dalle cene scambiate una volta al mese con gli amici coniugi Pardon e, ogni tanto, da un cinema”

“Il senatore Barak Obama è stato eletto illecitamente Presidente degli Stati Uniti d’America, non essendone cittadino per nascita”

Le due affermazioni, false secondo la verità fattuale, sono considerate del tutto vere da moltitudini di persone, una sola o entrambe. Naturalmente sono diversi i meccanismi logici e le ragioni per cui sono considerate vere. Per l’affezionato lettore di Simenon è tutto vero nell’ambito della finzione romanzesca, peraltro sicuramente realistica. Così vero da vedere le cose, percepire le sensazioni, provare i sentimenti della storia, nel comune processo di immedesimazione e straniamento della lettura. Per il blue collar disoccupato bianco americano, l’usurpazione da parte di Obama è vera e lampante, come la birra che ingolla con la menzogna, accortamente diffusa con molteplici modalità, introiettata avidamente e rielaborata in comunità, in un processo di creazione di una falsa verità immediatamente fungibile per nutrire l’odio individuale e creare l’opinione pubblica. La finzione del romanzo e la menzogna della falsa verità si sedimentano nella coscienza individuale con modalità, in qualche modo, analoghe, ma si sviluppano e si socializzano con scopi e modi diversi.

Post truth è la parola dell’anno Duemilasedici, secondo la condivisibile opinione degli Oxford Dictionaries. Ci si potrebbe chiedere dove stia la novità: la propaganda menzognera è sempre esistita. Era falso che nel febbraio del 1933 il Reichstag fosse bruciato per un complotto comunista ed è falso che nel febbraio del 2017 un’azione islamista abbia provocato un centinaio di morti in una città svedese.

Certamente all’inizio del processo di manipolazione dell’opinione pubblica sta la creazione di una storia falsa, più o meno realistica, possibile o credibile. La peculiarità della post verità, la sua connotazione caratteristica, consiste nel meccanismo di diffusione. Un volantino stampato che urla una menzogna è propaganda sporca, un tweet o un titolo su un sito sono virus sociali che si diffondono rapidamente e agiscono in profondità su un universo molto più vasto dei primi destinatari. Anche se questi sono relativamente pochi, ancorché fortemente fidelizzati, il messaggio viene immediatamente recepito da media molto più potenti che lo rimandano comunque, in una gamma di motivazioni diverse: per consenso, per accordi opachi, per informazione al pubblico, per stigmatizzarlo. Ciò vale tanto per il tweet di uno squilibrato che per l’annuncio di un capo di stato (possono non essere la stessa persona). Altro che venticello di Don Basilio!

Per la costruzione di una autentica post-verità sono indispensabili altri elementi, oltre la menzogna. In primo luogo la ripetitività, per ridondanza e per rilancio, necessaria per ottenerne la stabilità temporale. Ancora più importante è l’invasività, ottenuta con il lancio di altre storie false, tra loro coerenti per contenuto e senso, nell’ambito di una strategia globale che abbia individuato gli obiettivi da realizzare e la platea da conquistare.

Con obiettivi qui non si intendono quelli politici finali, ma quelli specifici dell’azione di mistificazione, vale a dire la costruzione e la sedimentazione di una nuova memoria storica. Categoria che attiene alle comunità vaste, dove la memoria è consapevolezza di qualcosa che le riguarda, sul piano dei valori, originata da fatti dei quali si può esser persa la collocazione nella storia; consapevolezza che sta nel senso comune, anche di chi non conosce la storia. A maggior ragione una storia inventata.

L’analisi della platea obiettivo è necessaria per calibrare il peso e la qualità del contenuto del messaggio che deve rispondere a pulsioni, paure, attese, speranze latenti o palesi del target. La storia delle recenti elezioni presidenziali americane ha mostrato chiaramente come, alla base delle strategie complessive di comunicazione mistificante, ci sia lo studio accurato delle tendenze delle persone, spinto fino al livello dei singoli individui, accompagnati quotidianamente da nuove sollecitazioni.

Tutto questo viene confermato dall’introduzione di una nuova fattispecie: la realtà alternativa. Che non è una diversa lettura della realtà fattuale, ma la proposta di un’altra realtà, anche se falsa nei fatti.

La storia è ricca di falsi che ne hanno alterato la lettura, ma si tratta di falsi costruiti per la posterità; oggi la falsa verità vuole indirizzarne il corso.

Un episodio di trent’ anni fa può rendere un’idea del fenomeno, sia pure in forma parziale. Quando ancora non c’era internet, in piena era televisiva, il comune di Livorno fece dragare i canali cittadini alla ricerca di sculture che, per voce di popolo, Modigliani aveva rabbiosamente affondato. Furono recuperate prima una, poi altre due teste scolpite che fior di critici, veri riconosciuti maestri (con l’esclusione del solito Federico Zeri) attribuirono, senza dubbi, all’artista livornese. Scalpore, dibattiti, certezze definitive, nuovo capitolo nella storia dell’arte; ponderati saggi pronti per le stampe. Finché tre giovani studenti, autentici livornesi dentro, non fecero sapere che una testa l’avevano scolpita loro col martelletto pneumatico. Furono indotti a rifarne una nuova, in ripresa televisiva, per dimostrare che non mentivano. Le altre due erano opera di Angelo Froglia, un artista livornese che dichiarò di aver voluto evidenziare come «attraverso un processo di persuasione collettiva […] si potevano condizionare le convinzioni della gente». Se gli autori non avessero confessato la burla geniale, la falsa verità sarebbe stata storia, scritta e bollinata.

Dunque solo la corretta informazione, ribadita in modo martellante e diffuso, può valere da antidoto. Naturalmente non convincerà tutti, in particolare chi non vuol sentire, ma la falsa verità non si stratificherà nelle convinzioni profonde, non entrerà nella memoria storica.

Se il nostro munifico editore ci concederà in futuro un po’ di spazio, potremo avventurarci nei territori della letteratura, dell’arte e della scienza, per intravedere il sottile diaframma che può separare vero e non vero, finzione e realtà, certo e probabile in una dinamica che esclude comunque menzogna e mistificazione, perseguendo la consapevolezza, perché sono «sciagurati quei tempi in cui i matti guidano i ciechi».

(Il Grandevetro 125, primavera 2017)

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