Se questa è l’ “economia circolare” …
Uno degli effetti dei cambiamenti climatici è che parole scientifiche come implementazione, resilienza, connessione, sostenibilità diventano talmente di uso comune che potremmo pensare di essere vicini ad una evoluzione dell’umanità , invece ci troviamo sull’orlo di una catastrofe linguistica.
I termini scientifici quando vengono tolti dal loro spazio semantico ed entrano nel linguaggio dei decisori economici e politici diventano una sorta di latinorum buono per ogni messa cantata, come una lingua morta che venga resuscitata solo per impressionare i fedeli, una cortina fumogena.
Il termine “economia circolare” è in realtà uno di questi banchi di nebbia, con il quale si cerca di ficcare in una scarpina di cristallo il piede di una sorellastra di Cenerentola.
La definizione scientifica nasce dall’osservazione dei cicli biologici e dei sistemi umani pre industriali, quasi arcaici, come le risaie del golfo del Tonchino , alcune delle quali sono lì da 3000 anni. La produzione, il consumo, il riciclaggio dei prodotti di scarto e il riuso in queste risaie funzionano se seguono un equilibrio, talmente stabile che è difficile intervenire per migliorarlo. Un tale sistema di produzione, consumo e riuso “circolare” è possibile purché abbia alle spalle una struttura di economia di villaggio, forme di gestione dei beni comuni strutturate in forme decisionali di “ecologia sociale”, molto lontana dai sistemi contrattualistici liberali in voga da noi.
Voler far entrare la gestione dei fanghi di conceria del distretto del Cuoio nel campo dell’economia circolare sembra a prima vista una favola dei fratelli Grimm, ma in realtà con i soldi tutto è possibile. Diciamo subito che parlare di “economia circolare” nei sistemi industriali avanzati è quantomeno scorretto. La quantità di energia che occorre per ottenere materie prime seconde (come i granulati da fanghi di concerie, utilizzabili in edilizia “sostenibile”) spaventa chiunque si metta a fare due calcoli. L’energia in questi sistemi non può essere riciclata, deve essere presa da qualche altra parte (a differenza delle risaie millenarie) e i materiali possono essere riciclati solo in una piccola parte.
L’accordo stipulato recentemente da Rossi presidente della Regione Toscana, l’Associazione Conciatori e la Rea, ovvero la discarica dei rifiuti speciali di Rosignano, dimostra proprio questo. Occorrono 80 milioni di euro per ammodernare gli impianti: 50 per produrre conglomerati bituminosi per asfalto (HCB) e inerti per edilizia (HSC), altri 30 milioni per l’impianto Acquarno, nato per l’affinamento per il trattamento del carniccio e per reinserire quasi tutto il cromo nel ciclo di produzione. C’è una non piccola parte (15%) che troverà la strada della discarica di Rosignano. Dove sta allora il riuso e il riciclaggio?
Ecco forse dove sta il vero significato dell’accordo, e anche della definizione di “economia circolare”: la Comunità Europea modifica i certificati CER, ovvero quelle caratteristiche dei prodotti di riciclaggio del trattamento dei fanghi, per cui non sarà più possibile produrre granulati al cromo; allora la Regione Toscana con un triplo salto con avvitamento produce un nuovo accordo per la produzione di granulati “ecocompatibili” semplicemente inviando in discarica i residui di lavorazione non riciclabili, resuscitando investimenti sul progetto del “Tubone” e attizzando una cortina fumogena col termine “economia circolare” per una cosa che circolare non è. Sarebbe stata circolare se le mucche, da cui deriva la materia prima ovvero la pelle, venissero alimentate dall’erba prodotta dal compost prodotto dal carniccio, ma il rischio di veder pascolare mucche con le corna cromate a Ponte a Egola era troppo alto.
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