(Coordinamento e introduzione di Giulio Rosa; relazioni di Alessandro Volpi e Alfonso M. Iacono; interventi del pubblico).
Il contesto (Rosa)
Nell’ultimo quarto di secolo, le politiche fiscali dei paesi a economia di mercato (in particolare nell’Unione Europea) si sono caratterizzate come politiche dei contabili, orientate da numeretti e modelli econometrici astratti, obbedienti al comandamento del debito pubblico sempre peccaminoso e del pareggio di bilancio conseguito con progressivi drastici tagli alle spese sociali. Vale a dire allo smantellamento dello stato a benessere diffuso. Il caso di scuola dei disastri economici e sociali provocati da queste fallimentari politiche è rappresentato dalla Grecia.
In verità, già dall’epoca del caso greco, l’accademia meno condizionata (ancorché ortodossa) e i politici più avvertiti avevano sterzato rispetto alla rotta iperliberista. Esemplare, in questo senso, la riflessione autocritica da parte dello stesso FMI.
La gestione della crisi pandemica può costituire un punto di effettiva discontinuità nelle scelte di politica economica nazionale, nei vari paesi.
La scelta di affidare le relazioni di questa conferenza a uno storico e a un filosofo origina dalla considerazione che l’economia va intesa come disciplina fondamentalmente umanistica, riguardando gli scopi, le scelte e i comportamenti umani. Questo nel solco dell’esperienza e dello sviluppo del pensiero economico fondamentale, da Smith – un filosofo morale – a Keynes, un umanista, prima ancora che un economista.
Il debito pubblico (Volpi)
I dati dell’economia italiana dovrebbero indurre a pensare che l’indebitamento pubblico diventerà, ancora di più, un dato fisiologico e non una patologia da cancellare nel più breve tempo possibile con ben poco credibili piani di rientro. Soprattutto se permangono la pandemia e le misure ad essa riconducibili. La Nota di aggiornamento al documento di finanza pubblica, su cui costruire la prossima legge di bilancio, prevede oltre ad uno scenario ottimistico (con la crescita del Pil di oltre sei punti!) un’ipotesi più realistica, viste le sempre più probabili misure restrittive dettate dalla pandemia, che stima una crescita soltanto dell’1,5% nel 2021, dopo un crollo per il 2020 del 10,5. Ciò comporterebbe, inevitabilmente, un ulteriore aumento del debito pubblico, che già nella versione ottimista sopra ricordata e contemplata nella prossima legge di bilancio prevede che sui 40 miliardi di euro di cui è composta ben 23 provengano dall’emissione di nuovi titoli di debito pubblico. A debito, infatti, è finanziata gran parte della copertura del mantenimento in vita del taglio del cuneo fiscale, che costa per il 2021 due miliardi, così come a debito sarà finanziata parte dell’assegno unico per ogni figlio fino a 21 anni e a debito sarà coperta la vasta massa di ammortizzatori sociali resi necessari dalla pandemia.
Allo stesso modo, a debito sarà finanziata l’eventuale riforma dell’Irpef con cui si intende alleviare il peso sui ceti medi. Non bisogna dimenticare neppure che il Recovery Fund, quando arriverà, sarà composto di 127 miliardi di prestiti, quindi di nuovo debito che, di fatto, sostituisce il debito nei confronti dei mercati con quello, meno oneroso, con l’Unione Europea. Una considerazione che vale anche per il Mes; si tratta di nuovo debito che lo Stato italiano deciderebbe di contrarre.
Dunque, è sufficiente mettere insieme pochi numeri, senza ricordare che il nostro debito pubblico è passato in pochissimi mesi dal 135 al 160% del Pil e che, storicamente, l’unico modo per ridurre porzioni significative di debito è stato solo quello della cancellazione, per capire come il vero tema centrale della politica economica e sociale italiana non dovrebbe essere quello di immaginare ben poco percorribili piani di rientro a tappe forzate e neppure coltivare l’illusione di improvvise e durevoli impennate del Pil.
L’attenzione dovrebbe essere centrata invece su come allungare i tempi del debito pubblico, su come renderlo il meno costoso possibile per lo Stato e, semmai, fruttuoso per gli Stati stessi. Non dimentichiamoci che già oggi 500 miliardi di euro di debito sono posseduti dalla Banca d’Italia che riversa gli interessi che riceve dallo Stato italiano allo stesso Stato. Di fronte ad una crisi strutturale di produzione del reddito, il debito pubblico è inevitabile e indispensabile.
La crisi dell’educazione (Iacono)
Le politiche per la scuola (come anche quelle per la sanità) si sono basate sull’assunto delle persone come cose, cioè come primato del quantitativo sul qualitativo. Sul piano dei principi guida, si sono imposti il modello aziendale e la prevalenza della competizione rispetto alla cooperazione.
Il controllo della società di massa si è articolato principalmente su due direttrici: un basso livello di partecipazione alle scelte fondamentali della società e il mantenimento di un diffuso stato di ignoranza. Ciò ha favorito (come sempre nella storia) la crescita del qualunquismo, anche sotto la specie del moralismo referendario.
Per questi motivi, il ritorno alla normalità recente costituirebbe il ritorno a uno stato patologico della società.
Quale visione per la scuola? Quale modello culturale? Come superare il bisogno incontenibile del divertimento, dell’apericena, della birretta? Dovremo sopportare ancora lo scandalo sconvolgente delle biblioteche chiuse e delle discoteche aperte?
Nell’epoca dell’informazione accessibile, occorre concentrarsi sull’educazione al senso critico (cioè alla capacità di gestire e governare l’informazione), al senso del tempo lungo, alla capacità di coltivare sogni collettivi e di saper coniugare regole e creatività.
Senza una effettiva discontinuità col prima, saremo devastati.
Contributi del pubblico in sala
Il debito è sempre una cosa oggettivamente negativa e così viene percepito. Il debito ci toglie la vita. Non c’è dubbio sul fatto che l’economia stia nelle scienze umane.
Quanto pesa la produzione di merci?
Si può dire che in assenza del conflitto sociale si crea un diffuso malessere perché si mortifica il progetto di vita delle persone? Le osservazioni sulla scuola si dovrebbero riformulare considerando che la scuola (insieme di una pluralità di agenzie formative) è di fatto ingovernabile e che esse dovrebbero essere condivise con la generazione dei digitali che ha modalità di comunicazione diverse dagli analogici.
Si pone la questione fondamentale dell’allocazione dei fondi straordinari che sarebbero gestiti da un sistema inquinato dalla corruzione. Quindi occorre considerare, preliminarmente, la questione dell’etica pubblica.
L’indirizzo iperliberista ed utilitarista imboccato dopo la caduta del muro di Berlino, unito all’imperversare della tecnologia hanno stravolto la nostra cultura mettendo in crisi le basi umanistiche del nostro pensiero. Piangere su quanto è andato perso ha poco senso, però ritengo che una riflessione organica e costruttiva su ciò sarebbe interessante, coinvolgendo, per quanto possibile intellettuali vecchi e giovani che sappiano confrontarsi sul tema