Piero Paolicchi, Il mare delle Storie

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Figlio di cento padri dicesi a figliol di donna impudica” si legge in una “raccolta di voci romane e marchiane con le corrispondenti toscane” del 1769. L’espressione era ed è usata evidentemente per offendere la mamma che specialmente in Italia è l’unica donna onesta, tanto che perfino un papa si sentirebbe prudere le mani a offendergli la sua. Ma esprime anche la millenaria preoccupazione dei padri circa la provenienza dei figli che si trovano da allevare, e dai quali esigono il dovuto rispetto, codificato anche nei dieci comandamenti. Nella concezione tradizionale, insomma, ci sono una sola madre e un solo padre, quelli naturali.

In una più moderna, padre e madre possono essere allo stesso titolo quelli che un figlio lo hanno adottato e allevato. Questa è più coerente col senso dei termini latini genitores e parentes, da cui derivano l’italiano genitori e l’inglese parents. Entrambi esprimono infatti il dar vita, generare, produrre, ma anche promuovere, spingere avanti. Riguardano non solo le origini, ma anche il crescere, il divenire. Dalla stessa radice infatti derivano sia termini come gente e genere, sia altri che esprimono l’idea di un processo, dell’apertura verso gli altri o verso il futuro, come generoso, gentile.

La saggezza iscritta nel profondo delle parole ci dice dunque che i genitores o parentes, indipendentemente dal sesso, sono accomunati nelle funzioni sia del generare, produrre, sia dello spingere avanti nella vita. Non a caso anche la prole (da pro- e alo, alimento), è ciò che viene non solo fornito di cibo (in latino nutrio), ma alimentato con tutto ciò che fa crescere, arricchisce; l’antica alma mater Venere non erogava solo il necessario per sopravvivere, ma tutto ciò che rendeva la vita degna di essere vissuta, come l’amore o la bellezza. L’uso della stessa espressione Alma Mater per una fonte di alimento non materiale come un’università è quindi quanto di più azzeccato, anche se oggi, purtroppo, alla maggioranza degli studenti suona astrusamente incomprensibile.

Se i genitori sono produttori-promotori, sono anche auctores. Auctor deriva infatti dal latino augeo, che ha lo stesso significato di far crescere, far procedere, spingere avanti. E l’auctoritas è la loro caratteristica. I genitori sono quindi sia i veicoli della tradizione, sia i promotori del nuovo, i costruttori del futuro. Tra le due funzioni non c’è alcuna contraddizione, dato che ordine e mutamento sono momenti dialettici inseparabili. L’ordine totale è solo inerzia mortale, il mutamento totale è il caos da cui non emerge alcuna progettualità realizzabile. È altrettanto negativa una spinta all’ordine che diventa repressione, quanto una spinta al cambiamento che diventa perdita di memoria, negazione o dissacrazione del passato in cui presente e futuro hanno le loro radici.

Genitori insomma sono tutti coloro che producono e trasmettono un’eredità che non è soltanto biologica, né a favore soltanto dei propri figli, perché le nuove generazioni sono una ricchezza per la società tutta. È dunque qualcosa di ben più ampio e diverso dall’attuale interesse per la riproduzione di esseri umani con interventi di ingegneria genetica di cui non sono facilmente prevedibili effetti collaterali e possibili rischi. Le passate esperienze di eugenetica da parte di regimi che intendevano distruggere insieme intere stirpi e intere culture, con le camere a gas e con i roghi di libri, non hanno lasciato certo un buon ricordo, né potrebbero mai avere risultati apprezzabili per ciò che caratterizza essenzialmente la specie umana, che non è il DNA, ma l’umanità accumulata e trasmessa nella cultura.

L’irrilevanza del legame biologico per il ruolo genitoriale fa sì che esso possa essere svolto non solo da padri e madri naturali. In alcune società i compiti relativi sono anzi affidati di regola, in tutto o in parte, ad altre figure: nonni, zii materni, anziani del villaggio, la cui funzione è quella di raccontare le storie necessarie per incamminarsi per le vie della vita. Avere un solo padre, dunque, può qualificare la madre come esemplare secondo la morale di una società monogamica, ma sarebbe un enorme svantaggio dal punto di vista del patrimonio di umanità che spetta a ciascun nuovo nato. Che educare un figlio sia ancora più difficile per un genitore unico è talmente evidente da non essere sfuggito neppure all’occhio di quel Pierino che, inseguito dalla madre per una delle sue marachelle e trovandosi di fronte il padre, esclamò “Vi ci mettete eh, due contro uno!”

Solo un Pierino sventurato tuttavia, nonostante possa sperarlo, ha a che fare con un solo genitore. Il mondo intorno a lui è pieno di genitori da cui può ereditare qualche risorsa per crescere: li trova non solo in un fratello o sorella maggiore, o nel ristretto giro della parentela, o in un amico, un insegnante, un incontro pur imprevisto ma significativo in un qualsiasi luogo e momento di vita. Naturalmente, può incappare anche in adulti che agiscono non nell’interesse di coloro che non lo sono ancora, ma a loro danno e nel proprio interesse.

È il tema di quel bellissimo mito moderno che è il Pinocchio di Collodi. La fuga da casa, replica dell’uscita dall’Eden, dà inizio ad una serie di episodi in cui entrano in gioco tutte le possibili figure di genitori e de-genitori. Il maestro grillo, con i suoi consigli prima rifiutati e poi apprezzati alla luce delle successive esperienze di vita; i carabinieri che intervengono a ristabilire l’ordine anche se nel modo tipico delle autorità burocratiche; il gatto e la volpe, che fanno leva sull’ignoranza e la credulità per far credere che le monete crescono sugli alberi; la fata dai capelli turchini che riesce ad aiutarlo solo quando si fa aiutare a sua volta dai medici animali per indurlo a sorbire la medicina; l’omino di burro, che raccoglie i Lucignoli sicuri di avere ormai conquistato la libertà, per avviarli verso un qualche paese dei balocchi che gli impresari della felicità ancora oggi reclamizzano ad ogni angolo di strada.

Per fortuna di tutti i Pinocchi, la fuga da casa che dà avvio alla storia è possibile non solo dall’uscio rimasto aperto verso il mondo esterno reale. C’è un mondo non meno ricco e reale che può aprirsi davanti ai loro occhi, pieno di genitori pronti per essere adottati, senza che ciò implichi il problema della scelta e del rammarico per le alternative escluse. Se ne potranno permettere quanti ne vorranno senza la sgradevole sensazione di tradire nessuno, e senza che nessuno dei genitori adottati debba affrontare gli inevitabili problemi di una famiglia più estesa di tutte quelle esistenti in qualsiasi società reale. Sono i genitori potenziali che aspettano di essere scoperti sugli scaffali di una biblioteca, sui banchi di una libreria o di un mercatino dell’usato.

Genitori che possono essere incontrati al di là di qualsiasi limite spazio-temporale, nelle più sperdute aree del pianeta e nelle sue più lontane epoche, attraverso lo strumento formidabile delle storie. Schiere di genitori disponibili per adozioni tanto più semplici di quelle fatte da adulti verso minori, ma non meno efficaci nel produrre svolte decisive nella vita di una persona. Si tratta solo di diffonderle sempre più, e di frenare coloro che mettono sul mercato modelli di genitori fasulli, costruiti in serie, o anche in esemplari unici, per figli in cerca di modelli ideali ma ancora incapaci di distinguere grilli parlanti da gatti e volpi.

Certo la pletora e la molteplicità di modelli che si propongono oggi attraverso le reti di comunicazione di massa, senza l’azione di una comunità che li seleziona e organizza in base a criteri e valori condivisi, costituiscono un problema e richiedono un esercizio di esame critico che molti Pinocchi non hanno ancora acquisito. Ma è un rischio infinitamente inferiore di quello che corrono coloro che crescono nella convinzione che vi sia un solo padre, Piccolo Padre o Sommo Padre che sia, portatore dell’unica verità sul mondo, e un solo Libro che la raccoglie, mentre tutti gli altri devono essere distrutti, magari con i loro padri-autori.

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