Muri e utopie | Luca Mori

dal numero 94 del maggio/luglio 2010

Nel saggio La città nella storia, Lewis Mumford ipotizza che le mura riprendano la funzione religiosa del recinto sacro. In base a più di un mito, il valore simbolico della loro sacralità provocò omicidi anche tra consanguinei: oltre al caso di Romolo e Remo, si narra che Eneo uccise il figlio Tosseo che saltava i fossi scavati intorno alla vigna; Pimandro poi lanciò un masso
contro Policrito, che aveva scavalcato le sue mura, uccidendo per errore il figlio dell’architetto Leucippo; Capaneo venne fulminato da Zeus mentre si vantava di poter scalare le mura di Tebe.

Nell’isola Utopia di Tommaso Moro (1516), la capitale Amauroto è una piazzaforte “cinta da mura alte e larghe, con numerose torri e rivellini, e le mura sono alla lor volta circondate per tre lati da un fossato asciutto, ma largo e profondo, difeso da siepi spinose; nel quarto il fiume stesso fa da fossa”. La Città del Sole di Tommaso Campanella (1623) è “distinta in sette gironi grandissimi […] ai quattro angoli del mondo spettanti”. In quegli anni un’opera stampata a Vicenza, il Teatro delle città d’Italia, raccontava di Napoli “fortificata di grosse mura”, di Milano “con una muraglia doppia”, di Genova “cinta di bellissime, e fortissime mura”, di Fiorenza che ebbe “due cerchi di mura” e, nel IX secolo, “mura assai più spaziose che le prime”. L’elenco comprendeva decine di esempi analoghi e, almeno in questo particolare, città reali e utopie non erano dissimili.

Agli attributi che sono stati associati al termine animale per definire l’uomo, potremmo perciò aggiungere quello di costruttore di mura. L’impresa più rappresentativa di tale singolare attitudine della nostra specie resta la muraglia cinese: iniziata nel III secolo a.C., è un’opera talmente colossale che nell’aprile 2009 l’Ente cinese per l’eredità culturale ha riaperto il dibattito sulla sua lunghezza, alzando la stima da 6 a 9 mila chilometri.

Col passare del tempo, Homo sapiens sapiens continua a dare prove sorprendenti della sua ostinata passione per i muri. Nel cuore dell’Europa, dal 1961 al 1989 un muro ha diviso in due la città di Berlino: già nel 1962, eretti in pochi mesi, si contavano 12 Km di muro, con 137 Km di reticolato, 8000 Km di filo spinato, 500.000 metri quadrati di spazi e corridoi vietati, tenuti sotto tiro. Nella terra sacra alle tre religioni del libro, le fessure del muro sacro di fronte al quale gli Ebrei devoti oscillano ritualmente il capo raccolgono preghiere di pace, ma le buone intenzioni e le invocazioni a Dio in tal senso appaiono tuttora vanificate e contraddette dall’esistenza di un altro muro, che percorre per centinaia di chilometri la Cisgiordania: è il “muro di sicurezza”, che con le sue “zone di esclusione” delimita i territori palestinesi.

Nel ventunesimo secolo le principali novità potrebbero riguardare la consistenza materiale, la pervasività e la struttura tecnologica delle mura: negli Stati Uniti, la Secure Border Initiative ed in particolare i progetti riferiti al confine sud-occidentale hanno introdotto l’idea di “mura invisibili”, cioè di un perimetro costellato da torri isolate ma controllato da radar, sensori, aerei senza pilota e telecamere.

Conducendo un progetto denominato Utopia nelle scuole dell’infanzia ed elementari (vedi a questo proposito i siti http: //ichnos.humnet.unipi.it e www.rapidovolo.it) tra Rosignano Marittimo, San Vincenzo e Venturina, abbiamo proposto a bambine e bambini un esperimento mentale: immaginiamo che sia stata da poco scoperta una grande isola e che questa, ad
una prima esplorazione, sia apparsa disabitata. Immaginiamo di voler farne un luogo in cui si può vivere bene, dando finalmente un senso a quanto scriveva Aristotele, quando sosteneva che proprio per questa aspirazione gli uomini sono “animali politici” e decidono di vivere in villaggi e città: se non del tutto senza ingiustizia, l’isola dovrà distinguersi per un grado d’ingiustizia significativamente più basso di quello osservabile altrove; se non del tutto priva d’infelicità e di abusi imputabili a decisioni ed azioni umane, in essa si dovranno trovare le migliori condizioni per una vita felice e soddisfacente, sul piano delle relazioni con gli altri e con l’ambiente. Una volta decise le costruzioni, le regole e gli abiti che potrebbero aiutare a conseguire tale obiettivo nell’isola, come gestirne i confini? Occorre fare qualcosa “intorno all’isola”? Come agire, qualora venisse avvistata, in avvicinamento, una nave di persone che non conosciamo?

Questo esperimento mentale mette di fronte a quella che il filosofo Ludwig Wittgenstein avrebbe forse chiamato figura rebus: un groviglio di linee in cui si può giocare a scorgere un senso. Il senso è ciò che si riesce a vedere o a far vedere agli altri nella figura rebus. È interessante confrontare, per ogni classe, ciò che immaginano i bambini e ciò che immaginano i genitori. Il
confronto delle due utopie fornisce agli uni e agli altri motivi di meraviglia e di discussione, ad esempio sui desideri, e dunque su cose realissime, di quel genere di realtà e di presenza che comunica con il fare finta e con l’assenza; con le assenze che la fantasia, l’immaginazione e il figurarsi rendono presenti. È lo spazio fittizio e al tempo stesso reale nel quale soltanto si può creare, ripensando la distanza tra ciò che c’è e ciò che non c’è.

I bambini, dunque, come immaginano i confini? Una bambina propone di circondare l’isola con un cerchio di conchiglie. Altri metterebbero bandiere e fiori. Alcuni si preoccupano di costruire recinti. I bambini più piccoli arrivano a pensare di circondare l’isola con un recinto o con “mura morbide”, ma “per non cadere in mare”. Un bambino propone delle mura di mattoni, per protezione. Alla sua voce se ne aggiungono altre. Ad un altro bambino, tuttavia, l’idea non piace: così non si vede più “il cielo”. “Ma il cielo si vede – replica un altro – è su!”. Il bambino precedente intendeva però dire che non si vedrebbe più l’orizzonte, il punto in cui il cielo tocca il mare. A qualcuno è sufficiente interrompere il muro con un cancello, attraverso il quale si può comunque vedere il mare. La discussione va avanti: un’idea tira l’altra; dubbi e commenti fanno scaturire nuove idee. C’è chi pensa ad un muro trasparente, fatto di un vetro molto resistente: così si combinano la protezione e la possibilità di vedere fuori. L’idea compare in più di una classe: un solo bambino ha osservato che, comunque, ci sarebbero dei riflessi sul vetro e che si vedrebbe male. Attraversando le classi troveremmo mura alte fino al cielo, mura invisibili fatte di laser, allarmi, telecamere e dispositivi a password, cancelli e scogli azionabili con un telecomando, che emergono dal mare o ci sprofondano, a seconda dei casi. Non mancano fili spinati e “reti elettrizzate”. In quattro classi (finora circa il 15% sul totale) è stata avanzata la proposta di una “bolla” o “cupola” di materiale indistruttibile, eventualmente bucherellata per fare entrare aria e pioggia. Per uscire dall’isola o per fare entrare “gli amici”, in questi casi, si potrebbe utilizzare un tunnel. Una bambina ha proposto di realizzare un velo immenso, del colore del mare e del cielo, con cui mimetizzare l’isola quando navi sconosciute o aerei si avvicinano.

Non manca chi lascerebbe il confine così com’è, senza niente, accogliendo e cercando di conoscere chi arriva, esigendo rispetto per le regole vigenti. Un altro bambino ha proposto di mettere “campi da gioco” come confine. Ma gli animali costruttori di mura, già da bambini, anche nel ventunesimo secolo, sembrano preferire le mura, eventualmente invisibili, impiegando tutta la tecnologia disponibile.

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