E’ morto Giuseppe Panella, nostro amico e collaboratore di lunga data, intellettuale acutissimo e soprattutto amico generoso. Lo ricordiamo con uno degli ultimi articoli usciti sul Grandevetro. Addio, Giuseppe.
MARX PROSSIMO MIO. Evoluzioni del marxismo contemporaneo
1.
La lunga storia del movimento operaio, delle sue lotte e delle sue battaglie per l’emancipazione è sempre stata costellata, oltre che da sconfitte (troppe) e da vittorie (troppo poche), da periodici ritorni a Marx e alla sua corretta interpretazione teorica e pratica. Per spiegare meglio quanto ho affermato prima, basterà guardare alle vicende del marxismo italiano. Nel primo dopoguerra, predominò l’immagine del “padre” dello storicismo assoluto che veniva attribuita a Gramsci sulla scia della pubblicazione dell’edizione Togliatti-Platone dei Quaderni del carcere.
Marx divenne il punto di riferimento di una linea filosofica che prendeva avvio dalla ri-lettura del Manifesto del Partito Comunista del 1848 ad opera di Antonio Labriola, si ritrovava nell’idealismo storicistico di Benedetto Croce e individuava in Gramsci il suo punto d’approdo (alle teorizzazioni gramsciane sull’egemonia politica e la letteratura nazionalpopolare, peraltro, venivano appoggiate le riflessioni di Francesco De Sanctis dedicate alla critica letteraria). Il Marx che emergeva da questa impostazione, egemone a suo tempo nell’ambito degli intellettuali legati al PCI e mai abbandonato in sede di elaborazione teorica, era uno “scienziato” della Storia, un modello di riferimento storiografico, un filosofo che si proponeva di interpretare il presente utilizzando il passato ( “il Machiavelli del proletariato” – come lo aveva definito appunto Croce in un suo saggio del 1897).
Questa interpretazione rigorosamente storicistica dell’opera marxiana dura fino a tutti gli anni Sessanta e anche oltre.
2.
Nel 1961 viene pubblicato il primo numero della rivista “Quaderni Rossi”, diretta da Raniero Panzieri e sostenuta da un gruppo di giovani intellettuali di sinistra più o meno legati al Pci o al Psi che avrebbero poi fatto parlare di sé (Tronti, Asor Rosa, Negri, Alquati, Luciano Della Mea, Dario e Liliana Lanzardo). In quel numero di apertura, Panzieri pubblicava un saggio, “Sull’uso capitalistico delle macchine nel neocapitalismo” destinato a imprimere un ritmo diverso alla ormai asfittica ricezione del pensiero di Marx. A partire dalla lettura del Libro II del Capitale (che egli stesso aveva tradotto in italiano alla fine degli anni Quaranta), al posto del Marx “scienziato della storia” subentrava il teorico delle contraddizioni sociali, lo studioso dell’ innovazione scientifica e della tecnica capitalistica ad essa collegabile nell’ambito delle trasformazioni in atto nelle grandi fabbriche. Al primo posto nell’analisi venivano poste le lotte operaie, la crisi come cifra espositiva delle contraddizioni della formazione economico-sociale del capitale e la ristrutturazione come risposta alla domanda proletaria di maggiore potere nella società oltre che sul luogo di lavoro. Come scriveva Panzieri:
«Le nuove “basi tecniche” via via raggiunte nella produzione costituiscono per il capitalismo nuove possibilità di consolidamento del suo potere. Ciò non significa, naturalmente, che non si accrescano nel contempo le possibilità di rovesciamento del sistema. Ma queste possibilità coincidono con il valore totalmente eversivo che, di fronte all’”ossatura oggettiva” sempre più indipendente del meccanismo capitalistico, tende ad assumere “l’insubordinazione operaia”» (R. Panzieri, Lotte operaie nello sviluppo capitalistico, a cura di S. Medici, Torino, Einaudi, 1976, p. 7).
Su questi temi si giocherà una partita politica di grande importanza a partire dalla fiammata insurrezionale del Sessantotto e termini di riferimento come “autonomia operaia”, “insubordinazione” e, in complesso, tutta la dimensione teorica che va sotto il nome di “operaismo” nascono da queste pagine oggi dimenticate di Panzieri. L’idea dell’”inchiesta operaia” che caratterizzava la sua proposta di intervento fattivo in ambito sociale, con tutto il suo corollario di indagine nel vivo dell’estraneità operaia al capitale, nasceva dalla necessità di trovare nel marxismo una forma di sociologia di parte proletaria. Ma anche un filosofo che nulla aveva a che vedere con “Quaderni rossi” come Lucio Colletti sosterrà in Ideologia e società, un suo libro del 1970, il primato della sociologia sulla dialettica nell’ambito della teoria di Marx.
3.
Un nuovo passaggio nella teoria avverrà, tuttavia, con la rivolta giovanile del ’77. Data per acquisita la necessità di spostare lo scontro teorico sulla contrapposizione radicale tra Operai e capitale (titolo di un fondamentale libro di Mario Tronti uscito per Einaudi nel 1966 all’epoca della collaborazione con Panzieri, poi rimessa in discussione dall’uscita del gruppo di “Classe operaia” dalla redazione dei “Quaderni rossi”), un testo di Marx, considerato fino ad allora soltanto un cartone preparatorio del Capitale, acquista un’importanza notevole nell’ambito della riflessione sul destino del marxismo: i Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica (meglio noti come Grundrisse). In una sezione di essi, meglio noto come Frammento sulle macchine, veniva individuato un concetto che avrebbe influenzato la riflessione successiva sulla soggettività di classe emergente nella nuova fase storica che si apriva. Il dominio da parte del capitalismo maturo veniva individuato in tutta la società e non era più limitato alla grande industria (come accadeva precedentemente). Si verificava, di conseguenza, quel fenomeno di sussunzione reale della forma di valorizzazione capitalistica che comprendeva tutte le dimensioni del lavoro vivo presenti nella riproduzione sociale e materiale dell’esistenza.
Il concetto che Marx evidenziava in queste pagine è quello che egli stesso definiva General Intellect della società (precedentemente lo aveva individuato come “cervello sociale”):
«La natura non costruisce macchine, non costruisce locomotive, ferrovie, telegrafi elettrici, filatoi automatici, ecc. […] Sono organi del cervello umano creati dalla mano umana: capacità scientifica oggettivata. Lo sviluppo del capitale fisso mostra fino a quale grado il sapere sociale generale, knowledge,
è diventato forza produttiva immediata e quindi le condizioni del processo vitale stesso della società sono passate sotto il controllo del general intellect» (K. Marx, Grundrisse, trad. it. di E. Grillo, Firenze, La Nuova Italia, 1968-1970, pp. 402-403).
A partire da questa analisi del fenomeno della sussunzione reale del lavoro vivo e della sua capacità di innovazione nelle macchine (che costituiscono la sostanza del capitale costante) all’interno del processo di lavoro capitalistico, il lavoro immateriale e di conoscenza diventa anch’esso settore fondamentale nello sfruttamento della forza-lavoro espropriata del frutto dei propri sforzi lavorativi. L’estrazione di plusvalore si può rintracciare anche in una dimensione fino ad allora considerata improduttiva e il proletariato si estende a ceti sociali fino allora rimasti esclusi da essa.
E oggi qual è, invece, il Marx cui va rivolta l’attenzione e l’interesse necessari per la prassi politica di rovesciamento della realtà esistente? Le crisi economiche strutturali che si sono abbattute sull’economia mondiale e in particolare sui paesi dell’Occidente finora opulento impongono una riflessione su quelle sezioni del Capitale (in particolare presenti nel libro II e soprattutto nel III) che contengono una fenomenologia della difficoltà del capitalismo a raggiungere i propri obiettivi strutturali. L’inaffidabilità dei mercati, innalzati a feticcio assoluto dall’ideologia neoliberista e adorati come punto di riferimento assoluto per le scelte economiche, e la necessità dell’intervento dello Stato nella loro regolazione fanno pensare che le pagine in cui Marx analizza la “caduta tendenziale del saggio di profitto” come preludio al crollo della formazione economico-sociale capitalistica possano essere di grande utilità nella riflessione sulle crisi odierne del capitalismo finanziario fino a ieri trionfante.
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