(Antonio Catelani, Italica 2018)
… pezzo intrigante, spunto per molte riflessioni, questa introduzione ai “nuovi maestri”, le foto di alcune opere e pezzi scritti, a sua volta, di presentazione ma autografi.
Un “bel” pezzo, almeno quello del Commare: “bellezza”, concetto d’una vecchia estetica da me aggiunto surrettiziamente? ma a proposito di un testo scritto! come si dice, mettiamo, di una poesia; e NON, ormai, per un’opera figurativa. Ma è così? e che s’intende, propriamente, con una simile aggettivazione? non di certo un qualcosa di rileccato e di dolciastro, non noi – Diciamo così: un pezzo, o una poesia, di particolare potenza espressiva, però non ridondante: “niente di più, niente di meno” è la formula classica della bellezza.
Torno al pezzo del Commare. Ricco di molti sensi, è indubbio. Mi riesce perfino, come da un’arancia, spremerne il succo totale. Posso intanto limitarmi – no, non alla sua prima “strofa”: al suo primo periodo!
Dunque, nella prima “unità di senso”, che accolgo, trovo la famosa dicotomia: il lavoro artistico “è un fare” (appunto, è un lavoro) non “un dire”. Che sarebbe riservato al settore letterario, pare. Ma come la mettiamo col “poiein” classico, greco, che si riferisce all’operare artistico senza disegno di confini, termine che indica un “fare” ma si riferisce senz’altro al “fare poetico”, se si cerca la prima istanza? Difatti, la voce che recita, non è anch’essa un “lavoro”? e la mano che scrive, non è lo stesso? insomma c’è mescolanza tra “fare e dire”!
A mio parere, rimane solo la “teoria”, che si salva in angolo! che è sempre un “fare”, va da sé: ma il suo terreno d’azione è esclusivamente la parola. Non tollera mistioni. È il “dire” per antonomasia, coi suoi limiti. È una trina, una costruzione di frasi e parole, intraducibili sia nell’arte figurativa, e similare, insomma arte plastica, sia nella poesia.
Vado un poco più avanti nel pezzo del Commare. Le tecniche, dice lui, si rinnovano: e producono opere nuove. Le tecniche artistiche, ben s’intende; legate a più giri alla “materia”. Ma davvero tutto si può risolvere col parallelismo con antichi passaggi come quello dalla pittura a tempera a quella ad olio? Credo di no. Può esser (ecco il dubbio) che la vera novità sia dirompente, e che avvenga quando “per caso” la tecnica abbia divorato il suo oggetto?!
Ricapitolando: fra “fare e dire” come accennato, a mio parere, c’è equivalenza. La differenza tra lettera e figura, di nuovo a mio parere, non è decisiva. Tuttavia questo “fare-dire” esige, suscita (scegliete voi), il più delle volte lo si fa davvero, un commento SCRITTO (o vocale, linguistico) denominato “CRITICA”. Oggi forse con strumenti più sottili di ieri. È la critica, insomma, che vorrebbe “spiegarci” il significato. Non ce la fa mai davvero, d’accordo. Ma è pur sempre una esigenza, un bisogno.
MA NON è MAI UNA NECESSITà IN SENSO STRETTO. Così la vedo.
Michelangiolo, Raffaello… ma via, anche PICASSO, che so MARINO MARINI: li possiamo accettare e comprendere così, “ingenuamente” almeno come in gran parte è stato fatto per secoli? le esplicazioni teoriche per l’arte antica erano palesemente oscure, inefficienti: mimesi della Natura nel senso, purtroppo e spesso, di un “par vivo!”. Certo il concetto di “mimesis” aristotelico aveva un retroscena più profondo, ma non mi pare sia stato appieno sviluppato: tant’è vero che una vera teoria estetica, a mio parere è invenzione abbastanza recente.
Concludo. Può essere che tanta parte dell’arte moderna, dico strettamente contemporanea, si sia trasformata in un “fare” che non è più altro che fare, e non più un “dire”?! ad esser franco, lo temo. Succo del mio discorso, è che si tratterebbe di un mortale impoverimento. Ecco perciò in finale, il fatto curioso: a questa minaccia d’insensatezza (è così!) come si risponde, come si può rispondere, nei circoli che contano? (cioè tra “gli addetti ai lavori”)? Ma è semplice: ecco che l’artista moderno, il performer, cerca di riempire questo iato, questo stacco, riempiendolo… di parole! ecco dunque la necessità assoluta da parte della attività artistica di oggi del commento critico a mo’ di… svelamento del segreto!… ai profani. Una cosa nuova, inedita.
L’arte contemporanea ci disorienta, l’uomo della strada di tutti i giorni si smarrisce, “non ci capisce nulla”? nessuno tremi: ecco qua il pezzo critico, il volume, che una schiera di critici ben pagati tributa ad altrettanto ben pagati artisti di successo. Per Raffaello e l’enigmatico De Chirico era ancora “un di più”, la “spiegazione, la teoria”; e difatti s’invita spesso in quanto a De Chirico a lasciar perdere, a farne a meno… e difatti non ne ha, lui, così bisogno…
In due parole: mancando il “fare” del suo implicito “dire”, rimanendo soltanto un puro e semplice “fare”, ecco che s’impone il surrogato di un “dire” separato, sostanzialmente avulso. A mio parere. Che vola sopra, ben sopra e allegramente al SUPPOSTO “significato dell’opera” sia esso pur un graffio di Fontana. E s’impone come il “significato” SVELATO. Volumoni dei critici, che minacciosi impongono il silenzio al volgo, al profano che, poveretto, continua a “non capirci niente”… (ma non io).
Il riferimento a qualche altra “strofa” del Commare è dicerto intenzionale! e qui polemico. Mi piace invece chiudere concordemente con lui così: “L’arte, la vera arte, mostra i limiti della percezione e obbliga la mente ad un salto oltre l’illusione, verso un livello superiore di conoscenza…”
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