Il nuovo schiavismo: quale lettura marxista?
Oggi nelle nuove forme di organizzazione del lavoro si è riaffacciato un fantasma che, almeno nelle società europee o “sviluppate” era stato considerato, forse frettolosamente, scomparso: lo schiavismo. Lo sfruttamento di settori sempre più numerosi avviene nel modo più spietato, senza alcuna considerazione della dignità umana. Ma cominciano anche i primi tentativi di ribellione, che non sempre riescono a trasformarsi in vera e propria coscienza di classe da parte di questi lavoratori, ma che dimostrano che gli sfruttati hanno ancora la forza di dire no.
Uno dei casi di cui si è più parlato – anche perché collegato alla realtà umana dell’emigrazione, di cui spesso si straparla per pura propaganda xenofoba – è quello dei lavoratori, perlopiù africani, impegnati in alcune attività agricole, dalla raccolta dei pomodori e della verdura a quella degli agrumi, in particolare nelle regioni meridionali ma non solo. Oltre allo sfruttamento disumano, vanno aggiunte le miserabili condizioni di vita nelle baraccopoli, per es. di San Ferdinando, vicino Reggio a Calabria o di Rosarno, senza parlare della mancanza di ogni tutela sanitaria. Eppure proprio questi lavoratori hanno trovato la forza di ribellarsi per difendere non solo il diritto a un migliore salario, ma quello alla dignità di uomini.
Che dire dei turni massacranti dei lavoratori nei magazzini di Amazon, che ogni giorno devono smistare decine di migliaia pacchi e percorrere chilometri in uno spazio grande come molti campi da calcio? Non possono parlare con i colleghi durante le otto ore di lavoro e devono perfino giustificarsi se vanno in bagno più di una volta nello stesso turno. Per non parlare della cancellazione e erosione dei diritti alle ferie, mentre le loro condizioni fisiche e psichiche peggiorano di giorno in giorno, fino all’autolicenziamento. Eppure negli ultimi anni anche loro hanno cominciato a levare la testa!
Chi ascolta la voce dei cosiddetti rider, ovvero i ciclofattorini che sfrecciano con i loro zaini in bicicletta per le nostre città a consegnare cibo e non solo, pagati da principali come Foodora, Deliveroo, JustEat e l’ultima arrivata Glovo? Le società cambiano continuamente i contratti: prima cottimo, poi paga oraria, poi ancora una formula che considera anche la distanza. A queste difficoltà va aggiunto il sistema di ranking, usato da alcuni, che può favorire o penalizzare il singolo fattorino: ci sono fasce orarie di consegna, di solito tre (mattina, metà giornata e pomeriggio). Sono perlopiù giovani immigrati, ma talvolta vi sono costretti anche italiani da anni espulsi dal lavoro e costretti ad accettare qualsiasi condizione o salario. Eppure anche costoro negli ultimi anni hanno trovato la forza di ribellarsi alle false promesse dei vari Poletti e Di Maio!
A proposito dei laboratori – spesso clandestini – dei cinesi nel Macrolotto di Prato, impegnati nel pronto moda, ci si domanda se nell’Italia culla dei diritti sindacali, per di più nella civilissima Toscana, si possa tollerare il risorgere dello schiavismo. I salari dei migranti – che vi trovano uno dei pochi lavori possibili – e probabilmente degli stessi cinesi, spesso non superano la miseria di 2 -2,50 € l’ora! Questo sfruttamento crudele e inumano – non va dimenticato – serve ad alimentare un perverso modello di business, cui non sono estranee illustri case di moda. E illegalità dopo illegalità si passa successivamente ai money trasfer e al denaro sporco e globalizzato.
E come tacere di tante donne migranti vittime di tratta e sottoposte alla schiavitù della prostituzione sulle nostre strade nell’indifferenza dei cittadini? Eppure molte trovano la forza e il coraggio per cercare di sottrarsi a questo infame dominio!
Anche i lavoratori del pubblico impiego e della scuola hanno visto una continua erosione dei loro diritti con i dirigenti ormai considerati manager, che gestiscono il personale nel più assoluto disprezzo con una rete di collaboratori, se non di spie, pronti all’esecuzione di ogni ordine, spesso perfino alla delazione. Il luogo privilegiato dell’educazione per costruire coscienze critiche è diventato una palestra di servilismo per molti docenti, mentre si accresce di giorno in giorno l’estraneità degli allievi ai contenuti della scuola nonostante le pseudo-riforme Berlinguer, Gelmini e Giannini, che hanno contribuito solo a distruggerla!
Oggi un’analisi marxista – del tutto necessaria – deve coniugare umanità e giustizia sociale insieme, a partire dai bisogni delle persone in quanto esseri umani e non merce di scambio e neppure “risorsa umana”. Una solidarietà e una condivisione quindi che vedano camminare insieme gomito a gomito braccianti e rider, lavoratori del pubblico e quelli del privato, disoccupati e precari, perché accomunati dal bisogno di un uguale salario per un uguale lavoro. Ciò, indipendentemente dal colore della pelle e dalla provenienza geografica o dalle differenze di genere. Perché sono insopprimibili il bisogno di un lavoro e di un giusto salario, il diritto all’abitare, alla pensione, a costruirsi un presente e un futuro dignitoso. Si tratta di bisogni di donne e uomini, che richiedono risposte concrete senza alcuna strumentalizzazione né da parte di coloro i quali ci hanno portato in questo abisso né da parte dei governanti. Diventa devastante la campagna di banalizzazione e disumanizzazione, con progetti di schedature etniche o di guerra a chi salva vite umane, come le navi delle ONG che operano nel Mediterraneo, definite “taxi del mare”, con l’utilizzo di un linguaggio incendiario, sintomo di una decadenza che la nostra umanità non può accettare, culturalmente e socialmente. C’è bisogno di un’umanità aperta che sappia partire dai luoghi delle contraddizioni sociali e culturali per lottare insieme agli “invisibili e sfruttati” sistematicamente e continuamente impoveriti dalle politiche di austerità e dai tagli al welfare e ai servizi sociali, o dalle diverse forme di oppressione che vivono sulla propria pelle.
E’ possibile mettere insieme la capacità di reagire che non conosce colore della pelle o genere ma che sceglie di essere voce delle ultime e degli ultimi, che vive la non omologazione come prospettiva sociale in grado di produrre alternativa di vita, possibilità di raggiungere una felicità che non si esaurisca nel consumo e nell’accumulo di ricchezza?
Forse dobbiamo solo recuperare alcune parole dimenticate, come: amore, ribellione, avvenire e dignità.
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