Enrico Calamai, I nuovi desaparecidos

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Il 2014 è stato segnato, anche a livello mediatico, dall’operazione Mare Nostrum, avviata dalla Marina Militare italiana dopo la strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013 (366 morti e 20 dispersi, numero, quest’ultimo, per necessità di cose approssimativo) e interrotta il 1 novembre 2014, con un saldo ufficiale di 167 000 vite salvate, cui sono da aggiungere, per completezza di informazione, i 3600 morti di cui si è avuta notizia e che hanno attribuito al Mediterraneo il poco invidiabile primato di area di confine a più alto tasso di mortalità nel mondo. Alla luce dell’entità di tali cifre, appare ipotizzabile che la stima di 20 000 morti nei vent’anni antecedenti Mare Nostrum possa costituire una approssimazione eccessivamente per difetto. Negli ultimi settant’anni la comunità degli Stati ha elaborato un corpus giuridico in materia di promozione e tutela dei diritti umani che è andato acquistando peso sempre maggiore nell’ambito del diritto internazionale. Gli stessi Stati continuano tuttavia a calpestarli. Si tratta di un portato strutturale del neoliberismo, ormai imposto a scala mondiale e caratterizzato dall’asimmetria, scientifico\tecnologica in primo luogo, ma di conseguenza anche militare, economica e culturale, in cui la guerra è tornata a essere strumento praticabile e praticato, anche da parte di Stati la cui costituzione la ripudia. Sono i danni collaterali di un contesto mondiale in cui le risorse dei paesi che non si dimostrano in grado di difendere la propria sovranità vengono accaparrate da una parte di gran lunga minoritaria della popolazione mondiale, per mantenere livelli di vita, inquinamento e spreco, cui si accompagnano nel resto del mondo miseria estrema, disastri ecologici, guerre, migrazioni di massa e terrorismo. Gli interventi in Afghanistan e Iraq, in Libia, Mali e anche quello attraverso l’opposizione in Siria, senza il quale forse l’ISIS non sarebbe esistito, sono tasselli da mettere insieme. Ne sono conseguenza diretta i disperati che da mille rotte diverse puntano verso il Mediterraneo. La NATO, al punto 24 del Concetto Strategico del 1999, constatava che “I movimenti incontrollati di un gran numero di persone, in particolare come conseguenza di conflitti armati, possono anche porre problemi per la sicurezza e la stabilità, che colpiscano l’Alleanza.” Detto diversamente, per la più potente alleanza militare al mondo, il fenomeno va considerato in sé e per sé, senza risalire alle sue cause. Inutile aggiungere che, in termini militari, qualunque fenomeno comportante problemi di sicurezza vada eliminato. Analogo il modo di ragionare dell’Unione Europea, quando include la cosiddetta immigrazione irregolare nell’elencazione dei pericoli cui l’Unione Europea ritiene di dover far fronte con la Politica di Sicurezza e Difesa Comune, mettendola alla pari con terrorismo, proliferazione delle armi di distruzione di massa etc. Eppure la costanza della ragione ci evidenzia che non siamo in presenza di un’invasione di forze ostili, bensì di un afflusso di gruppi vulnerabili e bisognosi di protezione, che può dimostrarsi destabilizzante soltanto nel contesto neoliberista di una spesa pubblica in materia sociale che continua a venir implacabilmente decurtata malgrado l’arrivo di nuovi possibili fruitori. Non ci può sorprendere che dalle premesse sopra riportate derivi una trattazione sicuritaria se non manu militari del problema, nell’ambito del sistema difensivo integrato che i singoli Stati appartenenti all’UE e/o alla NATO sono chiamati a realizzare. Il problema sta nelle ricadute che l’insieme di tali attività comporta per i non cittadini dell’Unione, quando a realizzarle di concerto è la totalità dei soggetti presenti a livello regionale. Stiamo parlando dell’operato degli Stati europei, della Unione Europea e della stessa NATO, da una parte, degli Stati africani di attraversamento e mediterranei, dall’altra. E, per contro, della difficoltà a comprendere la portata del problema complessivo, da parte di un’opinione pubblica europea frammentata dalle paratie derivanti da media. Perché è lo sbarramento di ogni via d’uscita legale a mettere questi disperati alla mercé dei predoni che in Sudan danno la caccia agli eritrei in fuga da una delle dittature più feroci al mondo, o delle milizie che in Libia utilizzano i corpi di richiedenti asilo e migranti per lo sminamento; è tutto questo a ridurli a res nullius, non diversamente dagli ebrei nell’Europa occupata dai nazifascisti. Anzi è tutto questo a produrre il lavoro sporco di predoni, milizie e scafisti, certi, a differenza dei pirati somali, di agire in sintonia con la volontà politica occidentale e di poter quindi contare sull’impunità. Il problema è che per ognuno di loro che muore, ma forse sarebbe meglio dire che facciamo morire, tantissimi altri continuano a cercare di arrivare. E allora, ecco che la frontiera viene sempre più esternalizzata e il fronte spinto sempre più in là, ecco che aumentano le possibilità di lucro da parte della criminalità organizzata, in una terra di nessuno sempre più estesa, fino a renderli impercettibili nella tragedia del loro respingimento, dispersi nell’ambiente, impensabili e inesistenti perché quod non est in actis, non est in mundo. Sono, in una parola, i nuovi desaparecidos, e il riferimento non è retorico e nemmeno polemico, è tecnico e fattuale perché la desaparición è una modalità di sterminio di massa, gestita nel cono d’ombra di un sistema mediatico in cui si dà per scontato che tutto ciò che esiste viene rappresentato e ciò che non viene rappresentato non esiste, in maniera che l’opinione pubblica non riesca a prenderne coscienza, o possa almeno dire di non sapere. Per la segretezza con cui era stata programmata e avviata, la Soluzione Finale ne è stata l’antesignana, mentre la strategia dei militari argentini ne rappresenta il più recente esempio di successo nell’eliminazione fisica di un gruppo politico d’intralcio al neoliberismo. Scaturisce direttamente dal cuore di tenebra del mondo occidentale l’attuale inconfessabile ecatombe di coloro che, per chi ci governa, altro non sono che Untermensch. A un anno dalla tragedia di Lampedusa il Governo italiano ha cancellato Mare Nostrum. La decisione sembra rispondere a preoccupazioni elettorali del Ministro Alfano, oltre a venire incontro alle ragioni cinicamente espresse alla Camera dei Lords dal Sottosegretario UK Mrs Joyce Anelay, secondo la quale i salvataggi vanno bloccati perché sortiscono l’effetto di incoraggiare altre partenze. Ben altra cosa sarà l’operato di Frontex e Triton, che rappresentano il ritorno a misure di polizia, non di salvataggio. L’Italia appare adoperarsi a un disegno politico finalizzato a ridurre il numero non delle morti di migranti e richiedenti asilo in generale, ma di quelle che, avendo luogo nel Mediterraneo, possono costituire una turbativa per l’opinione pubblica. Nel novembre scorso aveva luogo a Roma un incontro a livello ministeriale del cosiddetto Processo di Khartoum, promosso dall’Italia in quanto presidente Ue, con governi disparati come quello dell’Etiopia, lacerata da movimenti indipendentisti, come quello somalo, che a mala pena riesce a controllare il palazzo presidenziale, come il regime eritreo, notoriamente uno dei più feroci al mondo, o il Sudan, il cui presidente Bashir ha il dubbio onore di un mandato di cattura dalla Corte Penale Internazionale. Obiettivo dichiarato di questo processo è la gestione di quelli che vengono definiti flussi migratori, e che tali non sono, visto che di rifugiati e richiedenti asilo prevalentemente si tratta. L’unico vero motivo di convergenza può consistere nel puntellamento di questi regimi in funzione di baluardo contro il fondamentalismo islamico (obiettivo perseguibile anche in altri modi), aiutandoli a porre definitivamente fine alle ondate di disperati in fuga. Evitare che partano, evitare che arrivino, evitare che si veda e sappia ciò che accade in scenari sempre più lontani dalle nostre oasi di benessere, renderli sempre inesistenti nel sistema mediatico mondiale. E, con ciò, non lasciare più a predoni, milizie o criminalità organizzata in generale il lavoro sporco di bloccare i disperati alla ricerca di vie di fuga verso libertà, democrazia e dignità, affidandolo direttamente a governi che si suppone vi provvedano con maggior efficienza. Si tratta di un progetto politico che presenta inquietanti analogie con il Piano Condor, attuato in America Latina, negli anni ’70 del secolo scorso, nei confronti dei cosiddetti sovversivi che, in sostanza, ostacolavano l’imposizione del neoliberismo.

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