DELIO CANTIMORI E LE EPURAZIONI di Michele Feo

Figura 1 Giovanni Gentile e gli alunni della Scuola Normale nel 1929 (per gentile concessione del Centro Archivistico Scuola Normale Superiore)

In un ampio saggio dedicato a Gli anni pisani di Alessandro Perosa (in Campi immaginabili, Fascicoli I-II, 2017) Michele Feo non solo ricostruisce con la solita acribia e una straordinaria documentazione le vicende di alcuni degli intellettuali protagonisti della cultura italiana del Novecento, ma traccia anche un profilo della Scuola Normale Superiore di Pisa dalla dittatura fascista al dopoguerra. Ne abbiamo estratto per i nostri lettori i capitoli centrali che ci sembrano di più generale interesse. Rigraziamo l’autore per la disponibilità. (Red.)

DELIO CANTIMORI E LE EPURAZIONI di Michele Feo

La Scuola Normale Superiore negli anni di guerra

Sempre, durante il ventennio, aveva soffiato fra i corridoi e le stanze dei normalisti il vento nicodemitico, eppure noto e tatticamente tollerato, del dissenso/scontento. Qualche volta emerse apertamente e allora, come per Capitini, Gentile doveva far cadere la scure della punizione, anche se a malincuore e talora perfino con sofferenza. È il caso della protesta in sala da pranzo contro la guerra del brillante ragazzo Scevola Mariotti, caro sia a Gentile che a Pasquali. Era il 13 maggio 1940: tre giorni prima i tedeschi avevano invaso i paesi neutrali Belgio, Olanda e Lussemburgo; il 10 giugno sarebbe entrata in guerra l’Italia. Mariotti fu allontanato dalla Scuola e si laureò poi a Urbino-Firenze il 5 marzo 1945. Perosa, in stile apparentemente notarile, continuava a registrare tutto nei tristi verbali delle sedute del Consiglio Direttivo[1].

Ancora all’avvicinarsi della catastrofe faceva corpo compatto coi gentiliani fedeli dentro la Scuola: il 24 giugno 1943, onomastico del filosofo e giorno del fatidico Discorso agli italiani[2] con cui egli intese dar prova di coerenza politica e firmò la sua condanna a morte, da Pisa fu inviata a Gentile una cartolina, scritta da Giorgio Pasquali e sottoscritta da molti, fra i quali Perosa[3]. Il messaggio diceva:

O pater, o genitor, o sanguen dis oriundum,

tu produxisti nos intra luminis oras.

Occorre dire che si tratta di due esametri e non di prosa, e che è farina non di Pasquali, ma del padre Ennio, precisamente sono i versi 113-114 Vahlen2 (108-109 Skutsch) degli Annali, appartenenti al cosiddetto ‘inno a Romolo’ e tramandati dal De re publica di Cicerone (I 64). A intendere inequivocabilmente il messaggio politico e culturale del testo valga il commento di Skutsch al v. 109: «Romulus has led his people from obscure beginnings into the light»; né sfugga che i due versi citati fanno seguito a uno, da Pasquali taciuto si direbbe con ‘arte allusiva’, in cui Romolo è chiamato «patriae custodem», appellativo su cui ancora è illuminante Skutsch: «a central theme of Roman political feeling finds its expression in the formula custos patriae… which here appears for the first time in literature and remains until the time of the Ostrogoths»[4].

Un ulteriore, acuto, approfondimento del significato della citazione enniana ha portato Luciano Bossina, ricordando che essa era stata già usata 35 anni prima, nel 1908, dalla società degli studenti di filologia classica di Gottinga, e da Pasquali in primis, in un biglietto augurale a Wilamowitz per festeggiare il suo sessantesimo compleanno:

“A distanza di oltre tre decenni la forza simbolica della citazione enniana era dunque ben presente a Pasquali, che ha quindi voluto produrre una trasposizione allusiva di non piccola portata: da genitor a genitor, e da orae a orae, Gentile sta a Pisa (e al Regno d’Italia) come Wilamowitz sta a Gottinga (e al Reich tedesco). Il parallelo si apprezza, nella sua tragicità, pensando a che cosa rappresentasse per Gottinga e in generale per la cultura tedesca la figura di Wilamowitz, anche (e in questo caso soprattutto) per la sua dimensione pubblica e politica. Nel giugno del ’43, e dopo quel Discorso, all’arte allusiva non è lecito il lusus. Vero è che solo al pater tedesco – come la storia si sarebbe presto incaricata di mostrare – toccò in sorte un’apoteosi poco meno che romulea. Per l’altro, altri filii”.[5]

Nei giorni che seguirono il discorso del 24 giugno l’ala gentiliana più rozza e allora perdente, rappresentata da Vladimiro Arangio-Ruiz, denunciava al filosofo il crearsi di una sorta di triumvirato Cantimori Russo e Perosa[6]. Ma Gentile sembrava intenzionato ad andare sicuro per la sua strada: costretto, dopo il 25 luglio, a lasciare la direzione della Scuola, e di conseguenza anche la collana umanistica, scriveva a Perosa di voler continuare i testi umanistici con lui, se Olschki avesse consentito a staccarli dalla Scuola[7]. E Perosa a sua volta registrava in lettere a Cantimori il tentativo di Luigi Russo di scalare la difficile vetta della direzione della Scuola[8]. Erano le convulsioni delle fasi di passaggio.

E incertezze, ambiguità, e più forti lacerazioni dovevano ancora venire. A Luigi Russo capitò di fare il rettore dell’Università di Pisa e il direttore della Scuola Normale fra il 1° e il 13 sett. 1943, a cavallo a un di presso fra i quarantacinque giorni di Badoglio, l’armistizio dell’ 8 settembre e il discorso di Mussolini da radio Monaco. Quando l’Italia si trovò spaccata in due, con doppi governi e doppi ministeri, Pisa restò nella zona politicamente governata dalla Repubblica Sociale Italiana e militarmente controllata dai tedeschi. Per molti fu l’ora delle scelte drammatiche.

Nei giorni della vergogna nazionale i tedeschi entravano nella Scuola Normale e vi acquartieravano i loro ufficiali: ci sarebbero rimasti fino alla fine dell’anno 1943. L’istituzione diventò un deserto. Perosa sfollò, come allora si diceva, con la moglie sui Monti Pisani, da dove scendeva giornalmente a Pisa in bicicletta o in autobus[9]. È in questo quadro che spunta dalle carte una sua supplenza all’insegnamento di Lingua e letteratura greca nella Facoltà di Lettere dell’Università di Pisa per l’anno acc. 1943-44[10]. Il 15 giu. 1948 Perosa chiede che gli sia rilasciato un certificato attestante quell’incarico passato; e il certificato viene emesso lo stesso giorno. Ora, il titolare della disciplina era Augusto Mancini, con cui Perosa si era laureato e di cui era stato assistente volontario dal 1932 al 1939, in quel momento preside della Facoltà di Lettere. Come mai Perosa, ormai distaccatosi dal greco, come vedremo avanti, torna in certo senso indietro? E avrà poi effettivamente o regolarmente fatto le lezioni di letteratura greca in una città disastrata, fra continui allarmi e azioni di guerra, con l’attività didattica limitata all’orario dalle 9 alle 16? Luigi Blasucci, in un breve video diffuso in occasione dei festeggiamenti per i 200 anni della fondazione della Scuola Normale, ha ricordato con un po’ di humour come i normalisti fossero costretti dai bombardamenti a rintanarsi continuamente nei sotterranei e lì il solo Cantimori riusciva a mantenere la concentrazione sulle carte di studio che si portava dietro. Si aggiunga che in questo torno di tempo Perosa, come dimostro avanti, prestava servizio militare presso il locale Distretto.

Mancini (Livorno 2 mar. 1875 – Lucca 18 sett. 1957), uomo di vastissimo sapere e di grande umanità, fervente mazziniano e repubblicano storico, si manteneva a distanza di sicurezza dal fascismo. Si favoleggia di lui che quando arrivava tardi alla stazione di Pisa i ferrovieri aspettavano a far partire il treno per Lucca[11]. Il suo equilibrio e la sua specchiata figura professorale indussero il ministro repubblichino Carlo Alberto Biggini e il Senato Accademico pisano a officiarlo nel novembre ’43 per la carica di rettore dell’Università di Pisa. A dicembre Mancini declinò l’offerta, ma accettò l’elezione a preside di Facoltà, carica che lasciò l’8 giu. 1945, dopo esser diventato (13 maggio) il primo rettore pisano liberamente eletto. Nessuno probabilmente nell’Ateneo pisano sapeva che Mancini dal luglio ’43 era presidente del primo Comitato di Liberazione di Lucca. La sera del 5 genn. ’44 il sessantanovenne professore, sospettato di essere l’anima del movimento antifascista lucchese, fu arrestato e detenuto nel carcere di San Giorgio a Lucca fino al 14 maggio[12]. Di quella esperienza lasciò ricordo in un manoscritto di 79 pagine, che sono state pubblicate col titolo Memorie del carcere[13].

Come ho potuto appurare, cercando nei verbali dei Consigli della Facoltà di Lettere, la Facoltà conferì la supplenza di Lingua e letteratura greca a Perosa nella seduta del 17 marzo, presieduta da Armando Carlini[14], dopo avere registrato più volte, alquanto gesuiticamente, nelle adunanze precedenti, l’assenza ‘giustificata’ del professore. Con azione retrospettiva si poteva così salvare l’istituzione, garantire formalmente lo svolgimento del corso e parare le minacce del governo di infliggere ai docenti latitanti e assenti dal servizio provvedimenti punitivi come la sospensione dello stipendio[15]. Mancini rientrò in Facoltà il 9 giugno, presiedette la riunione di quel giorno, ringraziò i colleghi per la cordialità dimostratagli durante la detenzione, rimise il mandato con lettera al collega anziano Merlo, uscì nel mentre la lettera veniva letta, fu riconfermato subito e all’unanimità.

Durante la prigionia di Mancini e la supplenza di Perosa, il 15 aprile 1944, avveniva l’esecuzione di Gentile. Tre giorni prima, in una lettera a Leonida Tonelli, allora direttore della Scuola, Gentile aveva suggerito di affidare a Perosa la redazione degli «Annali», al posto dell’assente Cantimori[16]. Il 25, fra le notizie di continui allarmi e mitragliamenti, Perosa commentava a Garin quella morte con poche, desolate e sconcertate, parole: «I tempi si fanno sempre più tristi. E anche il povero Gentile, quale dolorosa fine ha fatto!»[17] La facoltà di Lettere di Pisa, sempre preside Carlini, il 27 deliberò «d’inviare un caldo telegramma alla famiglia per la tragica fine di Giovanni Gentile». Il testo non è agli atti. Nello stesso giorno il direttore della Scuola Tonelli ricordò Gentile nel Consiglio Direttivo[18]. La notizia raggiunse anche Mancini in prigione. Profondamente turbato, scrisse una lettera alla famiglia Gentile, e nelle Memorie dettò su colui che non esitò a chiamare amico un lungo giudizio di cui i biografi del filosofo dovrebbero tener conto. Comincia così:

Nessuno in carcere lo pianse, pochi condannarono il fatto dal punto di vista umanitario del rispetto della vita umana, pur avendo per lui parole gravissime, qualcuno disse che gli doleva lo avessero ammazzato, come gli dorrebbe se ammazzassero Mussolini, perché pena maggiore doveva essergli assistere alla rovina dell’Italia a cui egli non doveva e aveva invece contribuito, io solo lo piansi. Non potevo non piangerlo io che gli ero stato compagno di studi, amico sincerissimo nonostante le profonde differenze di sentire e di pensare in molte cose, io che, per lunga consuetudine, avevo il senso preciso del suo altissimo valore come uomo di scienza, come maestro, come volontà organizzatrice ed anche come uomo di cuore. Aggiungo subito che io non mi seppi spiegare, molti anni fa, come egli avesse potuto aderire al fascismo, ma più mi dolsi, pur riuscendo a spiegarmelo, che egli si legasse fatalmente di nuovo al fascismo dopo il 9 settembre.

Arriviamo all’ultima fase della guerra. Perosa risulta richiamato in servizio attivo presso il Distretto militare di Pisa e divide le sue giornate fra l’esercito e la Scuola[19]. Nella ritirata dei tedeschi riuscì fortunosamente a sfuggire ai rastrellamenti e riparò con la moglie a Padova[20]. La gloriosa Scuola Normale, tempio di «cultura per se stessa universale», subì una seconda umiliazione, e il salone degli stemmi fu adibito a «snack-bar del personale dell’aviazione alleata»[21]. Perosa rientrò a Pisa nel 1945, a fine aprile o ai primi di maggio, dopo la Liberazione. L’11 giugno si trovava nella Scuola e il 27 di quel mese era di nuovo nel suo ufficio di segreteria.

 Ritorno alla democrazia. Cantimori e le epurazioni  

Una volta di nuovo in piazza dei Cavalieri, Perosa si impegnò subito e intensamente nell’opera di ricostruzione delle vicende «della generazione dei ‘normalisti di guerra’», invitando «tutti i normalisti con cui entrava in contatto a fornire un ‘curriculum scolastico-militare’, una sorta di breve autobiografia del tempo di guerra»[22]. La seduta del Consiglio Direttivo del 27 giugno 1945[23] è testimonianza viva della grande quantità di problemi aperti da risolvere: dal riassetto economico dell’istituzione, alle carriere degli studenti negli anni di guerra dispersi, alla rievocazione mesta degli scomparsi. Si convalida la frequenza del terzo anno di studi di Antonio La Penna a Napoli; si regolarizzano le posizioni di Dante Della Terza e Marino Raicich; si chiama a far parte della direzione della collana umanistica Kristeller, che ne fu con Gentile il fondatore e che «dovette abbandonare la Scuola e l’Italia in seguito alle inique leggi razziali del 1938».

Alla riunione risulta assente giustificato Delio Cantimori. Il quale proprio in questo torno di tempo era sottoposto all’attenzione dell’Alto Commissariato per l’epurazione dei fascisti. Era l’ora della ripulitura del Paese e della giustizia, ma fu anche l’ora della resa dei conti, delle vendette personali e delle connivenze infami[24]. Il 9 giugno (o, secondo un’altra versione, meno credibile, della stessa fonte, l’11), era arrivato alla Delegazione per l’epurazione della Provincia di Pisa un telegramma da Roma di Ruggero Grieco (Foggia 1893 – Massa Lombarda 1955), il discusso dirigente comunista investito per alcuni mesi della carica di Alto Commissario Aggiunto per l’epurazione, con la richiesta di «rimettere rapporto informativo ordinario di Storia Scuola Normale Superiore di Pisa professore Cantimori Delio». Il rapporto informativo fu inviato il 24 giugno; ad esso era allegata una scheda analitica su idee e comportamenti politici di Cantimori nel ventennio. Per quanto abbia potuto setacciare criticamente i due documenti, mi pare di concludere che essi siano sostanzialmente veritieri circa le radici dell’adesione al comunismo di Cantimori.

Ha circolato fra gli storici la convinzione, basata su testimonianze orali o memorialistiche, che egli sia stato in rapporti con membri del Partito Comunista d’Italia dalla fine degli anni Trenta, ma nessuno mi pare che abbia citato documenti precisi[25]. Alcuni hanno voluto anticipare la maturazione di un percorso, senza tuttavia riuscire del tutto convincenti: come è stato osservato[26], crisi non vuol dire conversione. Che andrà collocata prudenzialmente al 1938[27], o addirittura al 1943[28].

Non è comunque vera, in tante polemiche giornalistiche scatenatesi intorno al 2004-2005, l’affermazione che qualcuno ha fatto[29], che Cantimori non sia stato neppure sfiorato dai processi di epurazione. Se nessuno storico, come pare, si è accorto dell’esistenza di una pratica per l’epurazione a suo carico, ciò credo sia dovuto a una stranezza archivistica. La cartella coi documenti, di cui dettagliatamente infra, si trova in un fascicolo della Prefettura numerato 168 bis, cui io sono pervenuto casualmente. Ora, si dà il caso che il fasc. 168 bis non sia registrato nell’inventario sommario dattiloscritto, che accompagnò il trasferimento del fondo dalla Prefettura all’ASP, e si passi dal 168 al 169. E questo fascicolo va recuperato integralmente alla storia dell’epurazione dei professori universitari a Pisa. Riporto tutta la mia (poca) documentazione in appendice, attingendola all’Archivio Prefettura dell’Archivio di Stato di Pisa, senza pretendere di emettere la sentenza equa fra quelli che si stracciano le vesti per il trattamento di favore accordato al ‘convertito’, e quelli che son impegnati in salvataggi storici non richiesti.

Dunque, è certo che la risposta a Grieco fu inviata dal Delegato Provinciale per l’epurazione di Pisa. Questi, anche se nella copia pisana del documento non è detto, era il Sostituto procuratore del Regno Giovanni Sorbi[30]. Ciò è del tutto coerente con le istruzioni e le competenze assegnate al Delegato al momento della nomina: istruire le pratiche ai fini del giudizio di epurazione; espletare attraverso apposita commissione i casi del personale degli enti locali; trasmettere all’Ufficio dell’Alto Commissariato a Roma le risultanze riguardanti i dipendenti statali[31]. Ma sono stati Sorbi e la sua segreteria a redigere il rapporto? Non credo davvero, se la prima frase, affermando che Cantimori è «ordinario di ruolo di Storia presso questa Scuola», rivela che chi sta scrivendo si trova non nella sede della Delegazione, bensì nella Scuola Normale. Evidentemente Sorbi ha chiesto informazioni alla Scuola. Nella Scuola solo il direttore Luigi Russo e il segretario Alessandro Perosa avrebbero potuto assumersi l’onere e la responsabilità di fornirle. Le hanno fornite, senza passare dal Consiglio Direttivo e senza lasciare traccia nel protocollo delle lettere, come è emerso da una indagine nell’Archivio storico della Normale. E poiché sappiamo da tutta la storia di Perosa alla Normale che Russo non perdeva tempo a scrivere personalmente le lettere amministrative, ma si affidava alla penna di Perosa[32], anche quando apponeva ad esse la sua firma autografa, se ne deduce che con tutta probabilità il rapporto fu redatto da Perosa in accordo con Russo.

Ma qui si pone un’altra domanda. Dato che Perosa conosceva vita morte e miracoli della Scuola, dei suoi studenti e dei suoi professori, è credibile che egli fosse a conoscenza anche di aspetti non pubblici della biografia di Cantimori, quali quelli rivelati nel rapporto? Sapeva certamente che l’amico era stato dal 1934 al 1939 all’Istituto Germanico di Roma diretto da Giuseppe Gabetti. Poteva sapere che aveva scritto una recensione coraggiosa delle opere di Mussolini[33], ma è difficile che fosse a conoscenza che parte di essa era rimasta inedita. Anche la vita clandestina di Cantimori, se c’era stata, doveva essere rimasta nell’ombra, ed è davvero impensabile che il segretario Perosa fosse stato con leggerezza informato di attività propagandistica e di collaborazione al Soccorso Rosso, di collaborazione esterna a riforme governative insieme con Dorandi (?), <Pompeo> Biondi, U(go) Spirito, <Livio> Livi, previo assenso del gruppo comunista di Alicata, e infine dell’ospitalità data nel 1943 in casa sua per più di un mese al latitante Eugenio Colorni[34]. Anche il giudizio sul senso della collaborazione a «Civiltà fascista», confermato dalla storiografia recente[35], risale verisimilmente all’autore stesso. Tutte queste notizie sono state insomma fornite a Perosa da Cantimori, e il rapporto si configura dunque come un qualcosa che sta fra l’autodifesa e l’autobiografia.

Ma facciamo un passo indietro. Il telegramma inviato da Roma alla Delegazione Provinciale e fortunatamente conservato in originale, è firmato da Grieco. Ma insospettisce il fatto che la copia conservata nell’ACS, pur essendo uguale nel testo, rechi l’intestazione UFFICIO PUBBLICA ISTRUZIONE e la firma stampigliata «Avv. Tullio Mulas». Questo Mulas non è proprio un carneade e a indagini indefesse dell’amico Padulo risulta esser stato antifascista e aver militato nel Partito Sardo d’Azione. Ma più importa l’entrata in scena dell’Ufficio Pubblica Istruzione, che sposta le responsabilità dell’iniziativa di una indagine su Cantimori dal mondo della politica a quello della scuola. Insomma il suggerimento di epurare Cantimori è venuto a Grieco dal Ministero della Pubblica Istruzione. Ora il ministro era al momento Vincenzo Arangio Ruiz, fratello di Vladimiro. Fra Vladimiro da una parte e Russo Cantimori Perosa dall’altra c’era stata alla Scuola Normale una guerra sanguinosa, minutamente raccontata da Simoncelli[36], che nel ’45 durava ancora. Solo quattro mesi prima dei fatti che stiamo ricostruendo, nel Consiglio Direttivo del 21 febbraio, Cantimori aveva letto la gelida relazione sul triennio di straordinariato di Arangio Ruiz, conclusosi il 29 ott. 1943, giudizio grazie al quale il nemico veniva promosso e rimosso[37]. Le induzioni che seguono sono solo logiche e non hanno alcun valore di prova. Ma si può capire che nella prima fase dell’epurazione, quando le Commissioni locali per i professori universitari erano gestite dai professori stessi e a Pisa tutto il potere era nelle mani di Luigi Russo, un’indagine su Cantimori era destinata a fallire e a nessuno passò per la testa; quando invece quelle Commissioni furono azzerate e si aprì una seconda ondata epurativa affidata alle Delegazioni Provinciali costituite da personalità estranee al corpo accademico, Arangio Ruiz, approfittando della posizione del fratello, poté vedere il momento buono per sferrare un attacco letale a Cantimori. Fu dunque con tutta probabilità una battaglia sorda fra ex-gentiliani allevati in seno alla stessa Scuola.

Cosa dovevano pensare a Pisa Sorbi e i suoi collaboratori? Non lo sappiamo: Sorbi era un magistrato appartenente alla razza di chi, come è stato detto, «dalla propria formazione professionale ha tratto l’abito della ponderatezza, il senso delle regole, l’esperienza della fragilità umana»[38], e si può essere sicuri che non abbia sovrapposto all’esibizione dei documenti di rito il suo giudizio personale, lasciandolo tutto all’Alto Commissariato di Roma. Ma c’è un piccolo ma. In margine alla prima riga del rapporto c’è un segno di più (+) a matita nera. Cosa significa? Simili segni di + e –, posti accanto a nomi di professori indiziati in altri documenti dello stesso fascicolo (per es. quello del 14 nov. 1945), indicano chiaramente persone i cui atti vanno trasmessi a Roma, perché fortemente indiziate (+) e persone che ne vanno esentate, non essendoci addebiti a loro carico (–). Se così è, il + accanto a Cantimori vuol memorizzare per uso personale e forse anche trasmettere una inespressa e, a termini di procedura, inaccettabile, convinzione di colpa. Dunque probabilmente da Pisa è partita verso Roma una voce non del tutto convinta dell’innocenza dello storico e della verità del suo vantato antifascismo.

A Roma la pratica di epurazione di Cantimori potrebbe essere stata archiviata o annullata (non si riesce a trovarne traccia), vuoi per la protezione che allo storico assicurarono i comunisti e la Scuola Normale, vuoi per il suo creduto lontano distacco dal fascismo e per le benemerenze di antifascista negli anni Trenta, vuoi per il clima politico della nazione che, pur fra roventi polemiche ed esplosioni raccapriccianti di furore, volgeva alla pacificazione e al recupero entro una compagine democratica anche di molte strutture dello Stato liberale e fascista.

E tuttavia, anche quando le pratiche si archiviavano, è un fatto che non cessava l’attenzione della polizia. Una lettera di Perosa a Cantimori del 28 sett. 1945[39] pone inquietanti interrogativi. Scriveva Perosa:

“Poi volevo dirti una notizia che ti riguarda personalmente. Giorni or sono si è presentato alla Scuola un agente di P. S. che mi ha chiesto notizie sul tuo passato politico. Io, s’intende, ho detto quello che dovevo dire: e cioè che ti conoscevo da lunga pezza, e avevo sempre esperimentato la tua avversione all’ortodossia fascista. Aggiunsi che tu avevi fatto in modo di non prestare servizio all’epoca della repubblica. Credo che la richiesta venisse da Roma: ma l’agente non si sbottonò più che tanto. Ed io feci lo stesso. Ho creduto doveroso informarti subito di questa inchiesta, che mi è parso capire debba avere scarsissima importanza”.

Allora il fascicolo Cantimori era stato davvero archiviato a fine giugno, oppure Grieco, poco tenero verso gli intellettuali che sotto il fascismo l’avevano fatta franca, l’aveva semplicemente messo da parte, magari dando ascolto a diversificate sirene e, quando il 15 luglio lasciò la carica, lasciò anche la questione irrisolta? Il 27 giugno la carica di Alto Commissario, vacante dal 5 gennaio per le dimissioni di Carlo Sforza, passava, su designazione di Ferruccio Parri, a Pietro Nenni. Nenni avrebbe poi sostituito l’Alto Commissario Aggiunto Grieco col magistrato Domenico Riccardo Peretti Griva (Coassolo Torinese 1882 – Torino 1962)[40]. Si apre qui la possibilità che Cantimori, messo in un limbo da Grieco, sia stato ripulito da Nenni, come lui romagnolo, o da Peretti Griva, oppure che la vicenda si sia trascinata fino alla cosiddetta amnistia Togliatti del 22 giugno 1946. Tra la fine del 1945 e l’inizio del 1946 la Delegazione Provinciale di Pisa trasmetteva a Roma – secondo una storica morta troppo giovane, ma purtroppo senza indicazione dei relativi documenti archivistici[41] – tutte le sue pratiche con la proposta, poi accolta, di archiviazione: e ciò, aggiungiamo, in ottemperanza al D. L. n° 702 del 9.11.1945. Quanto a Cantimori, comunque siano andate le cose, i fatti parlavano di lui come di una colonna del Partito Comunista: il 7 giugno 1944, subito dopo la liberazione di Roma, era uscito il catalogo del ricordato progetto di autori del pensiero socialista, di cui lo storico era il principale responsabile, e nel 1945 e 1946 vari suoi articoli venivano pubblicati in riviste di sinistra, «Aretusa» di Flora e Muscetta, «Società» di Bilenchi e Bianchi Bandinelli, «Rinascita» di Togliatti[42].

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[1] Cfr. M. Feo, Scevola Mariotti e le strade della filologia, «SMU», X (2012 [ma 2015]), pp. 260-261.

[2] Su quel Discorso vd. F. Perfetti, Assassinio di un filosofo. Anatomia di un omicidio politico, Firenze, Le Lettere, 2004, pp. 9-22.

[3] Simoncelli, Cantimori, p. 151; Id., La Normale, p. 197.

[4] The «Annals» of Q. Ennius, edited with introduction and commentary by O. Skutsch, Oxford, Clarendon Press, 19862, pp. 79, 258-259.

[5] L. Bossina, Le «Persone» di Michele Feo, «Quaderni di storia», XXXIX, n° 78 (lu.-dic. 2013), p. 269. E cfr. dello stesso Due divagazioni wilamowitziane, «Quaderni di storia», XXXVI, n° 72 (2010), pp. 163-165.

[6] Ancora Simoncelli, Cantimori, pp. 149-152. Ma non definirei proprio «plateale» la manifestazione apertamente antifascista in piazza dei Cavalieri, organizzata e descritta da Antonio Russi, in: Il contributo dell’Università (n. 26), pp. 198-199. L’aggettivo è tuttavia ripreso tal quale da Mondini, Generazioni, p. 275. Per i tre anche Carlucci, Luigi Russo, p. 250.

[7] Cfr. A. Perosa, Leo S. Olschki, e l’edizione di testi umanistici, in: Cristina Tagliaferri, Olschki un secolo di editoria 1886-1986, I: La libreria antiquaria editrice Leo S. Olschki (1886-1986), prefazione di E. Garin, Firenze, Olschki, 1986, p. 340.

[8] Cfr. Simoncelli, La Normale, pp. 198-200; Carlucci, Un’altra Università, pp. 77-78.

[9] Cfr. una lettera a Cantimori del 29 febbr. 1944, in Carlucci, Un’altra Università, pp. 83-84.

[10] Pisa, AGUP, Personale docente, Alessandro Perosa, int. n. n.

[11] Su Mancini vd. i due libri qui spesso citati di Simoncelli, passim; l’introduzione al libretto cit. a n. 86; e ora due contributi serrati e a tratti, a mio gusto, troppo severi di F. Pontani, Mancini, Augusto, in DBI, LXVIII (2007), pp. 466-469; e Un eroe tra due mondi: Augusto Mancini, in: Dialoghi con il Presidente. Allievi ed ex allievi delle Scuole d’eccellenza pisane a colloquio con Carlo Azeglio Ciampi, a cura di M. Campopiano, L. Gori, G. Martinico, Elettra Stradella, Pisa, Edizioni della Normale, 2008, pp. 105-124. Ma mi piace ricordare anche le vivide pagine di Scevola Mariotti, Filologi classici ex-normalisti, «AR», s. V, XVII (1972), pp. 72-73; rist. nei suoi Scritti di filologia classica, [a cura di M. De Nonno e L. Gamberale], Roma, Salerno Editrice, 2000, pp. 637-638; quelle di Sestan, Memorie, pp. 300-301; e l’affettuoso ricordo di E. Carli, Inventario pisano, Pisa, Macchi, 1978 ca., p. 58.

[12] È una vicenda che merita di essere studiata più attentamente: non so se abbia ragione Simoncelli, La Normale, pp. 201-206, seguito da Perfetti, Assassinio di un filosofo (n. 75), pp. 56-57, a ritenere, sia pure con cautele, che l’arresto di Mancini facesse parte di un rinnovato attacco «dell’ala radicale del fascismo repubblicano contro gli ‘intellettuali’». Egli specula sulla «contemporaneità sospetta», «ai primi di dicembre del ’43», degli arresti di Norberto Bobbio a Padova, Evaristo Breccia a Pisa e Mancini a Lucca. Ma non s’accorge che l’arresto di Mancini non avvenne il 5 dic. ’43, bensì il 5 genn. ’44. Ad ogni buon conto per il rilascio di Mancini si adoprò direttamente Biggini, il rettore e ministro che nel novembre 1943 aveva esentato dal giuramento i professori (cfr. il «memoriale di Padova» di Biggini, maggio 1945, in: L. Garibaldi, Mussolini e il professore. Vita e diari di Carlo Alberto Biggini, prefazione di D. Fisichella, Milano, Mursia, 1983, p. 334).

[13] A. Mancini, Memorie del carcere. Quei mesi della resistenza e della liberazione a Lucca, a cura di D. Morelli, «Nuova Antologia», DLVI, fasc. 2159 (lu.-sett. 1986), pp. 195-269; fasc. 2160 (ott.-dic. 1986), pp. 245-313; rist. nei “Quaderni della Nuova Antologia, XXVII”, Firenze, Le Monnier, 1986 (cito dal libro). Morelli, allievo di Mancini e come lui repubblicano militante, era docente di Archeologia classica a Pisa quando io ero studente. Dopo la sua morte vari amici, fra cui Sebastiano Timpanaro, gli hanno dedicato l’affettuoso libretto Ricordando Donato Morelli, Firenze, Gonnelli, 2000. Mi è caro ricordare a mia volta che le Memorie mi furono da lui donate con dedica dopo un viaggio in Grecia da lui guidato nel settembre 1988. Colgo l’occasione per segnalare in questa meritoria edizione, che ha dovuto fare i conti con fogli deteriorati, due brutti refusi: uno a p. 117 (Salya per Salza) e l’altro a p. 120 (crax per cras).

[14] Pisa, AGUP, Facoltà di Lettere e Filosofia, Processi verbali delle adunanze, alla data.

[15] Cfr. Simoncelli, La Normale, pp. 204-205.

[16] Carlucci, Un’altra Università, p. 86. Ma Tonelli non tenne conto del suggerimento: il 21 maggio, dopo la morte di Gentile, Perosa informava Garin che «Tonelli ha intenzione di dare gli Annali (direzione e redazione) a Mancini» (Pisa, CASNS, Archivio Garin, Carteggio, GT. P453. 010).

[17] Pisa, CASNS, Archivio Garin, Carteggio, GT. P453. 011. La lettera è priva dell’anno, ma non può che essere del 1944.

[18] Carlucci, Un’altra Università, p. 85.

[19] Dall’autunno del 1942 almeno all’agosto del 1943 Perosa appare attivo presso il Distretto di Pisa come fante del 22°/1 Battaglione Costiero, 28a Compagnia (vd. la cartolina a Garin del 4 nov. 1942: Pisa, CASNS, Archivio Garin, Carteggio, GT. P453. 005; e cfr. anche Campioni, L’antifascismo, p. 124; Simoncelli, La Normale, p. 197 n. 2). La minuta di una lettera del rettore dell’Università di Pisa del 29 sett. 1942 al generale Umberto Ferreri, comandante della zona militare di Pisa (Pisa, AGUP, fascicolo Perosa cit.), testimonia il ripetuto intervento, su sollecitazione di Arangio-Ruiz in qualità di vice-direttore della Scuola Normale, inteso ad agevolare in qualche modo la posizione di Perosa.

[20] Così Ciaramelli nella lettera cit. a n. 1: «Dopo l’8 settembre 1943, ad una data non precisata, è stato arrestato dai tedeschi per essere deportato in Germania. Bruna, avendolo saputo, ha voluto seguirlo prendendo lo stesso treno. In una stazione del nord Italia, sono stati liberati da un ufficiale austriaco, anche perché lo zio [scil. Perosa] parlava bene la lingua (a Trieste aveva fatto le elementari in tedesco!). Si sono poi nascosti per più di un anno a Padova ospiti di Fabio Metelli, altro amico di famiglia, aspettando che passasse il fronte. Immagino che questo sia avvenuto all’inizio del 1945». La fuga a Padova è ricordata in una lettera di Luisa D’Ancona del 13 nov. 1976, in: B. Vasari, Ricordo di Luigi Cosattini deportato. A ciascuno il suo, Roma, Ridolfi, 1987 (Quaderni della FIAP, 49), p. 91; rist. Udine, Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione, 1997, p. 77.

Sono in grado di mettere meglio a fuoco questa vicenda, oscura per gli storici della Scuola. Mi pare del tutto probabile che il servizio militare (di cui n. 92) si sia protratto fino al momento della requisizione da parte dei tedeschi. Ma quando questa è avvenuta? Un 23 ag. senza anno Perosa si trova a Pisa e di qui scrive a Garin (GT. P453. 013): l’anno è il 1944, giacché nella lettera si dice che il 29 successivo è martedì e ciò si verifica nel 1944 (vd. A. Cappelli, Cronologia, cronografia e calendario perpetuo, Milano, Hoepli, 1930, p. 73). Poi nella corrispondenza con Garin c’è un vuoto fino al 3 lu. del 1945 (GT. P453. 014: qui dichiara di aver «perso molto tempo in mezzo a pratiche di ufficio arretrate»). Il 4 ott. 1945 (GT. P453. 015) segnala a Garin il cod. Padovano C 78 del De fato et fortuna di Salutati scoperto «compulsando a Padova l’inventario dei mss. della Cattedrale» (evidentemente durante la latitanza). Se ne deduce in prima approssimazione che l’assenza da Pisa sia da collocare fra il 24 ag. 1944 e il 2 lu. 1945; ma l’arco temporale si restringe in alto all’ 11 giu. 1945, data di una lettera di Perosa dalla Scuola ad Alberto Tenenti (cit. da Mondini, Generazioni, p. 289), e va avvicinato alla Liberazione, 25 apr. 1945. Ricordo, per inquadrare le date, che il 27 lu. del 1944 avvenne il cannoneggiamento americano che distrusse gli affreschi del Camposanto monumentale, e il 2 sett. successivo gli Alleati entrarono nella città praticamente rasa al suolo. Opino che Perosa sia stato preso dai tedeschi, non come tanti civili per il trasferimento nei campi di lavoro di Germania, ma come militare, al momento della ritirata, dunque il 1° sett. 1944. L’arco dell’assenza si definisce così fra il 1° sett. 1944 e il 10 giu. 1945. L’ultima precisazione viene da una lettera a Cantimori del 25 luglio 1945 (Pisa, CASNS, Archivio Cantimori, Carteggio Cantimori-Perosa, int. n. n. ), in cui Perosa stesso dichiara che la sua assenza dalla Scuola è durata otto mesi: e dunque dal 1° sett. 1944 alla fine di aprile 1945. Incongrua con le testimonianze è dunque l’affermazione che Perosa «all’indomani dell’8 settembre, non aveva potuto riprendere il suo posto in Normale» (Carlucci, Un’altra Università, p. 96 n. 50). Risulta anzi positivamente che egli abbia presenziato le riunioni del Consiglio Direttivo del 24 nov. 1943, 24 genn. 1944, 26 mar. 1944, 24 apr. 1944, 16 magg. 1944; comincia ad essere assente dal 24 dic. 1944, e riappare come segretario del Consiglio Direttivo il 27 giugno 1945 (Pisa, CASNS, Archivio Storico. Libro dei verbali delle adunanze del Consiglio Direttivo, n° 7 [24.11.43-7.5.49], ff. 64r-88v).

[21] M. Marianelli, Ritorno alla Scuola Normale Superiore (1945), nel suo Una casa di parole, Pisa, Giardini, 1986, pp. 27-30; poi in Gass, Diario pisano, p. XXIV n. 35.

[22] M. Mondini, Ritornare alla vita degli studi. Uno scambio epistolare tra Cinzio Violante, Alessandro Perosa e Luigi Russo (1945-48), «Normale», XII, n° 2 (dic. 2009), pp. 21-24, a p. 22; e vd. poi dello stesso Generazioni, pp. 273-305.

[23] Pisa, CASNS, Archivio Storico, Libro dei Verbali delle Adunanze del Consiglio Direttivo, n° 7 (24.11.43 – 7.5.49), ff. 64r-88v.

[24] La letteratura su questa fase sovreccitata della nostra democrazia, nel suo duplice percorso civile e giudiziario, è cresciuta enormemente. Ricordo qui solo alcune ricostruzioni: Zara Olivia Algardi, Processi ai fascisti, Firenze, Parenti, 1958; 3a ed., Firenze, Vallecchi, 1992 (Biblioteca del Ponte, 5); R. P. Domenico, Processo ai fascisti, trad. di B. Lotti, Milano, Rizzoli, 1991; Milano, R.C.S. Libri, 1996; R. Woller, I conti con il fascismo. L’epurazione in Italia 1943-1948, Bologna, Il Mulino, 1997; R. Canosa, Storia dell’epurazione in Italia. Le sanzioni contro il fascismo 1943-1948, Milano, Baldini&Castoldi, 1999; M. Franzinelli, L’amnistia Togliatti. 22 giugno 1946. Colpo di spugna sui crimini fascisti, Milano, Mondadori, 2006. Poche le ricostruzioni circoscritte ad ambiti precisi: su Pisa e provincia Forti, Dopoguerra, pp. 184-200; Francesca Pelini, in: F. Pelini – Ilaria Pavan, La doppia epurazione. L’Università di Pisa e le leggi razziali tra guerra e dopoguerra, Bologna, Il Mulino, 2009, pp. 117-193; M. Novi, L’epurazione negli enti locali della Provincia di Pisa (1945-47), s. l., Edizioni Accademiche Italiane, 2015; sull’Accademia dei Lincei P. Simoncelli, L’epurazione antifascista all’Accademia dei Lincei. Cronache di una controversa “ricostruzione”, Firenze, Le Lettere, 2009. Per un consuntivo rimando alle equilibrate riflessioni di M. Battini, Riconsiderando il problema dell’epurazione in Italia dopo il 1945, in: Von Umgang mit der Vergangenheit: Ein deutsch-italienischer Dialog. Come affrontare il passato. Un dialogo italo-tedesco, hg. v. Ch. Liermann, M. Margotti, B. Sösemann und F. Traniello, Tübingen, Niemeyer, 2007, pp. 67-72.

[25] Miccoli, Cantimori, p. 205, ricorda il progetto editoriale di una collana intitolata al «Pensiero socialista», elaborato in clandestinità dal 1943 con altri intellettuali di sinistra e pubblicato il 7 giugno 1944, subito dopo la liberazione di Roma; fa risalire i rapporti col partito comunista al 1935 [correggi 1936], anno del matrimonio con Emma Mezzomonti (Bolzano 1903 – Firenze 1969), che era impegnata da tempo nel Soccorso Rosso; e aggiunge la notizia di un incontro a Roma nel 1939 con Velio Spano; su ciò cfr. anche P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, V: La Resistenza. Togliatti e il partito nuovo, Torino, Einaudi, 1975, pp. 74-75. Anche Sestan, Memorie, p. 264 (ma a quale data?), fa perno su Emma, aggiungendo che lei, «questo si seppe poi, aveva guadagnato al comunismo il marito». Sulla stessa lunghezza d’onda C. Vivanti, Politica e riflessione storiografica: Delio Cantimori, «SS», XXXII (1991), p. 783; A. Prosperi, Introduzione a: D. Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento e altri scritti, Torino, Einaudi, 1992, p. XXXIX; Silvana Seidel Menchi, «Ein neues Leben»: contributo allo studio di Delio Cantimori, «SS», XXXIV (1993), p. 781; C. Dionisotti, Delio Cantimori (1998), nei suoi Ricordi della scuola italiana, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1998, pp. 573-586, partic. 574-577; M[illetta] S[brilli], Cantimori, Delio (1904-1966), in: Guida agli archivi delle personalità della cultura in Toscana tra ’800 e ’900. L’area Pisana, a cura di E. Capannelli e Elisabetta Insabato, coord. R. P. Coppini, Firenze, Olschki, 2000, p. 77; e vari siti-web anonimi. Ma sul ruolo di Emma più efficacemente di tutti Albertina Vittoria, Il PCI, le riviste e l’amicizia. La corrispondenza fra Gastone Manacorda e Delio Cantimori, «SS», XLIV (2003), pp. 747-750. Il problema è riassunto così da G. Bedeschi, Doppio scacco per Delio, «Il Sole – 24 Ore», CXL, n° 141 (23 magg. 2004), p. 39: «Non possediamo una documentazione sufficiente per ricostruire passo per passo l’allontanamento del grande storico dal fascismo. Ci sono però testimonianze attendibili che alla fine degli anni trenta e nei primi anni quaranta egli ebbe numerosi contatti con i comunisti». Forse però coglie di più nel segno, nella sua ambiguità, la formulazione di Luisa Mangoni, Europa sotterranea, che introduce a D. Cantimori, Politica, p. XXXVIII: « ‘mistero nicodemitico’ … nel progressivo distacco di Cantimori dal fascismo ma, forse, anche un esser dentro…»..

[26] G. Sasso, Delio Cantimori. Filosofia e storiografia, Pisa, Edizioni della Normale, 2005, pp. 78-79.

[27] S. Bertelli, Il gruppo. La formazione del gruppo dirigente del P.C.I. dal 1936 al 1948, Milano, Rizzoli, 1980, p. 316, acquisisce l’inedita testimonianza di Ambrogio Donini, resagli il 1° mar. 1978, secondo la quale un ruolo determinante per staccare il Cantimori dal fascismo e avvicinarlo al comunismo avrebbe svolto un incontro a Parigi con Donini stesso. Riprendendo questo episodio R. Pertici, Mazzinianesimo (n. 35), p. 126, lo data al 1938. Al 1938 riporta il nuovo orientamento politico anche Gastone Manacorda, Lo storico e la politica. Delio Cantimori e il Partito Comunista, nel suo Il movimento reale e la coscienza inquieta, Milano, Angeli, 1992, pp. 209-210, 221. A sua volta M. Ciliberto, Intellettuali e fascismo. Saggio su Delio Cantimori, Bari, De Donato, 1977, p. 210 n. 19, informa, sulla base di una notizia di Sestan, che tramite fra Cantimori e il Partito fu Emilio Sereni.

[28] G. Belardelli, Il Ventennio degli intellettuali. Cultura, politica, ideologia nell’Italia fascista, Bari-Roma, Laterza, 2005, pp. 141-173, partic. 166.

[29] E. Di Rienzo, ap. D. Messina, «Cantimori, ultimo intoccabile. In nome dell’ortodossia», «Corriere della sera», CXXX, n° 76 (31 mar. 2005), p. 37.

[30] Cfr. Forti, Dopoguerra, p. 185. Giovanni Sorbi (Pomarance 1909 – Pisa 1984) è stato un comunista puro e integerrimo. L’ho conosciuto personalmente quando era anziano e sempre battagliero, nel 1968 o 1969. Aveva lasciato la magistratura nel 1946 per «protesta contro le inframmettenze alleate negli affari della giustizia Italiana» (ACS, Magistrati III Vers. 67716) e faceva l’avvocato. Fu impegnato a favore del disarmo atomico (cfr. M. Battini, Antonino Maccarrone. L’autonomia, base della democrazia, in: La Provincia di Pisa (1865-1990), a cura di Elena Fasano Guarini, Bologna, Il Mulino, 2004, pp. 330-331). Difese gli imputati al processo per i fatti della Bussola di Viareggio del 31 dic. 1968; fu avvocato di parte civile nella vicenda del giovane anarchico Franco Serantini; difese più tardi gli imputati di terrorismo al processo di Genova del 1980, riportandone alla fine, nonostante la vittoria tecnica, una grande delusione, come ebbe a rivelarmi confidenzialmente. Quando ricevette l’incarico di Delegato Prov. all’epurazione aveva un passato di partigiano. Gli altri due membri della Delegazione erano il medico legale Ideale Del Carpio e l’ingegner Renzo Venturelli. Sorbi fu nominato Delegato dell’Alto Commissariato per l’Epurazione nella provincia di Pisa da Ruggero Grieco con decreto del 21 genn. 1945 (ASP, Gab. Prefettura, busta 7, fasc. «Delegazione Provinciale dell’Alto Commissariato Aggiunto per l’Epurazione»). Ma entrò effettivamente nelle sue funzioni solo a fine marzo. Del resto il decreto stesso originale reca, oltre a quella del 21 gennaio, altre due date: Roma 14 feb. 1945, e, sotto il numero di protocollo, 13.3.1945. Dunque il documento è rimasto fermo a Roma almeno fino al 13 marzo. Fra il 21 genn. e il 14 febbr. si colloca un’altra delibera rivelatrice della tormentata vicenda. A scrutinio segreto, su richiesta di Grieco al prefetto Vincenzo Peruzzo, il CLN di Pisa designa la Delegazione pisana in data 10 febbraio.

[31] Decreto di Grieco cit. alla nota precedente.

[32] Cfr. infra, p. 471.

[33] Gli «Scritti e Discorsi» di Benito Mussolini, «L», VI (1935), pp. 97-103.

[34] Colorni è il noto socialista e antifascista, padre del federalismo europeo, arrestato nel 1938, confinato prima a Ventotene, poi a Melfi, componente del Comitato direttivo del Partito Socialista a Roma dopo il 25 luglio 1943, morto il 30 maggio 1944 per le ferite subite in un agguato. Il 6 maggio 1943 era riuscito a fuggire da Melfi per Roma, dove visse latitante, ed è forse in questo periodo che trovò ospitalità presso i Cantimori. E. Gencarelli, Colorni Eugenio, in: F. Andreucci – T. Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico 1853-1943, II, Roma, Editori Riuniti, 1976, p. 79, ritiene che dovette nascondersi a Roma presso B. Visentini. – Alicata è Mario Alicata (1918-1966), iscritto al Partito Comunista clandestino nel 1941, attivo nella Resistenza romana, poi esponente ortodosso della politica culturale del PCI. Il nome di Ugo Spirito (Arezzo 1896 – Roma 1979) è una mia ricostruzione (per la quale vd. Appendice). Sui suoi rapporti con Cantimori vd. Cantimori stesso, La vita come ricerca, «Giornale critico della filosofia italiana», XVIII (1937), pp. 356-370; Miccoli, Cantimori, pp. 22, 30 n., 68-80; G. Belardelli, Dal fascismo al comunismo. Gli scritti politici di Delio Cantimori, «Storia contemporanea», XXIV (1993), pp. 383-384. Degli altri personaggi Padulo ha identificato, grazie al soccorso di Alessandra Cavaterra dell’Archivio della Fondazione Spirito e Renzo De Felice, Pompeo Biondi (1902-1966), giurista, docente di Procedura civile e poi di Dottrina dello stato, fondatore della «Rivista di diritto internazionale» (vd. ora i suoi Studi sul potere, a cura di A. Zanfarino e G. Cattaneo, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2004); e Livio Livi (Roma 1891 – Firenze 1969), studioso di Statistica e docente nelle Università di Trieste, Firenze (dal 1928 al 1948) e Roma (cfr. A. Farcomeni, in DBI, LXV, Roma 2005, pp. 320-322). Il Soccorso Rosso era un’organizzazione legata all’Internazionale Comunista e intesa a prestare aiuto a prigionieri politici comunisti o comunque in difficoltà.

[35] Belardelli, Il Ventennio (n. 101), pp. 170-173.

[36] Simoncelli, Cantimori, pp. 109-165.

[37] Pisa, CASNS, Archivio Storico, Libro dei Verbali delle Adunanze del Consiglio Direttivo, n° 7 (24.11.43 – 7.5.49), ff. 52v-53v.

[38] Forti, Dopoguerra, p. 189.

[39] Pisa, CASNS, Archivio Storico, Carteggio Cantimori-Perosa, int. n. n.

[40] Per la storia della tormentata gestione Nenni vd. Woller, I conti, cit., pp. 439 ss.

[41] Pelini, La doppia epurazione (n. 97), p. 183.

[42] Vd. la Bibliografia degli scritti di Delio Cantimori, a cura di L. Perini e J. A. Tedeschi, in: Miccoli, Delio Cantimori, pp. 375 ss.

2 Commenti

  1. Michele Feo ha il dono di farmi amare anche quello che è lontano dal mio temperamento: la lucidità delle analisi, il rigore filologico della documentazione e delle referenze. Apre squarci di comprensione storica, anche a partire da un argomento, la Normale di Pisa,che non ha mai avuto alcun peso specifico nella mia educazione culturale. Ma di tutta evidenza essa, come la Torre, non appartiene al solo paesaggio pisano. In Italia, disgraziatamente, manca, nel bene e nel male, una mitologia condivisa di certe istituzioni che in Francia, per esempio, sarebbero quasi sacralizzate.
    La vostra decisione di mettere in linea Il Grande Vetro testimonia ancora una volta del vostro impegno intellettuale, fraterno e militante. Un abbraccio. Andrea

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