Quando quei pazzi dei re greci, avidi di gloria e usi più a menar le mani che a zappare la terra e scrivere versi, quando quei pazzi riuscirono a mettere insieme una flotta militare panellenica per andare a riprendersi – dicevano – una donna fuggita dal talamo maritale, i soli elementi che intuirono quali guai si stavano profilando furono i venti. I venti soffiarono testardamente contro, per dire a quei pazzi che era meglio starsene a casa coi propri figli, le proprie mogli e i propri servi. Ma fu un sacerdote, che sia stramaledetto nei secoli dei secoli, che trovò la diabolica soluzione: sacrificate la figlia del comandante generale e i venti obbediranno. Il comandante generale capì che il sacerdote aveva trovato l’espediente religioso per mettere sotto i piedi il potere laico, ma si fece i suoi cinici conti e trovò che il potere era più dolce della dolcezza di figlia. Fu così che Ifigenia, fanciulla che, come la Silvia leopardiana, ancora non aveva salito tutti gli scalini della giovinezza né quelli dell’amore, fu condotta all’altare sacrificale. Quando la poveretta capì cosa l’attendeva, implorò il padre con le parole più tenere, gli ricordò quando nel banchetto gli versava il vino e in suo onore cantava il peana. Ma il re restava tetro e tetragono, il sacerdote compiva la sua missione provvidenziale e il popolo dei soldati sognava solo di andare al macello. Quando tutto le apparve perduto, Ifigenia fece un gesto incomprensibile, pur esso vano: fece cadere le belle vesti e restò tutta nuda e ancor più indifesa. Fu incaprettata e imbavagliata, perché non potesse più muoversi e parlare. (Ne hanno scritto intense pagine Sebastiano Timpanaro e Adriano Sofri).
Conosco nella nostra civiltà un altro caso di reazione al potere del padre simile a quello di Ifigenia. È quello di Francesco, che si spogliò nella piazza di Assisi di tutte le vesti e le restituì a Pietro Bernardone, produttore di stoffe e mercante. Da te, padre, padrone, sfruttatore del lavoro altrui e capitalista, non voglio più nulla, nemmeno la tunica per coprire le vergogne. Il nuovo tycoon dell’imprenditoria non poteva capire, poveretto anche lui. Ma Francesco non fu incaprettato, e da allora, vestito di un solo ruvido saio, se ne andò per il mondo a prendersi la sua rivincita.
Credevo che l’albo di siffatti eroi si chiudesse qui. Ma ora, indirizzato da uno scritto in rete di Mauro Zanchi, scopro con mia grande meraviglia che un’offerta sacrificale della propria nudità ha compiuto anche l’archetipo cristiano dell’umiltà e della purezza, Maria di Nazareth. C’è a San Gimignano un affresco di Benozzo Gozzoli che rappresenta una scena terribile, chiara a noi uomini del tempo del corona-virus. In alto si vede un vecchio signore adirato, un Deus sabaoth che, insieme con angeli privi di pietà, scaglia i dardi letiferi della peste su un’umanità, forse colpevole, ma inerme. In basso due personaggi che implorano misericordia. Uno è Cristo risuscitato, come è evidente dalla ferita al costato e dalla perforazione di mani e piedi, l’altro è sua madre Maria. Ecco lo scandalo: Maria, che nella storia della pittura mostra volentieri un seno scoperto per offrirlo all’allattamento del Bambino, qui li mostra tutti e due e non certo per allattare. Diceva Alfonso de’ Liguori, nel canto del dio che scende dalle stelle, che fu amore (per gli uomini) a farlo povero. In questa Maria, unica al mondo, abbiamo, osereri dire, la degradazione per amore. Se scendiamo nel grande affresco di Benozzo ancora più giù, vediamo che l’intercessione di Gesù, della Madonna e di San Sebastiano ha raggiunto il suo effetto: i dardi degli angeli si spezzano per strada e non raggiungono gli uomini. Anche a noi interessa salvare la pelle (magari per medicina e non per fede), ma Benozzo ha voluto dirci altro. Ha voluto dirci che Maria, non potendo offrire niente per ottenere in cambio un po’ di pietà per i suoi figli, è disposta a vendere se stessa, il proprio corpo, la propria nudità o, che è la stessa cosa, la propria dignità a un dio padre dispotico. Come i proletari del movimento operaio, come Francesco e come Ifigenia, Maria, pur essendo madre di un dio, non possiede poteri, non possiede ricchezze, è padrona solo della propria persona.
Che il corona-virus ci insegni figuralmente che l’unico vero bene di ognuno di noi è la persona, che dovrebbe essere sacra e inviolabile.
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