In questi giorni abbiamo sentito spesso ripetere che Coronavirus ci fa scoprire che Homo sapiens è fragile. Di questa fragilità ce ne eravamo dimenticati. Per lungo tempo la fede in un progresso senza limiti verso magnifiche sorti e progressive ci ha fatto sentire forti e sicuri delle nostre conquiste personali e sociali. L’epidemia che sta sconvolgendo le nostre vite ci ricorda tragicamente quella fragilità; torna alla mente ciò che scriveva quattrocento anni fa Blaise Pascal:
L’uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura; ma è una canna pensante. Non occorre che l’universo intero si armi per annientarlo: un vapore, una goccia d’acqua è sufficiente per ucciderlo. Ma quand’anche l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe pur sempre più nobile di chi lo uccide, dal momento che egli sa di morire e il vantaggio che l’universo ha su di lui; l’universo non sa nulla. Tutta la nostra dignità sta dunque nel pensiero. E’ in virtù di esso che dobbiamo elevarci, e non nello spazio e nella durata che non sapremmo riempire. Lavoriamo dunque a ben pensare: ecco il principio della morale.
Credo sia uno dei più celebri pensées. Citatissime le prime righe, spesso poste a chiusa elegante di discorsi, componimenti e dissertazioni, meno citate le ultime, sulle quali vorrei ora soffermarmi perché mi sembrano di straordinaria attualità. Ci inducono a porre significative domande per riflettere sul nostro modo di pensare e di vivere. Sono sicuro che si sia tutti profondamente convinti della bontà di queste esortazioni: Tutta la nostra dignità sta dunque nel pensiero. E’ in virtù di esso che dobbiamo elevarci, e non nello spazio e nella durata che non sapremmo riempire. Lavoriamo dunque a ben pensare: ecco il principio della morale
Sono meno sicuro che si sappia tradurle in termini attuali, appropriati alla crisi che viviamo. Tutta la nostra civiltà ci ha proposto l’obiettivo di elevarci nello spazio e nella durata; Citius!, Altius!, Fortius! è il motto olimpico, volentieri assunto a indicare uno stile di vita, le finalità dei nostri progetti. Ma in sostituzione di questo, quale altro obiettivo sappiamo porci? Quale altro stile di vita? Che significa per noi il ben pensare?
Vorrei proporre tracce di pensiero che potrebbero essere utili per giungere a valide risposte a queste domande.
La prima. Nell’editoriale Coronavirus: uno sguardo evoluzionistico (https://pikaia.eu/coronavirus-uno-sguardo-evoluzionistico/ ) Telmo Pievani scrive, tra l’altro:
... ma l’ homo sapiens dovrebbe avere un vantaggio sul coronavirus ( cfr. Pascal: l’uomo sarebbe pur sempre più nobile di chi lo uccide, dal momento che egli sa… l’universo non sa nulla ). Abbiamo un’intelligenza, possiamo vedere, immaginare, prevedere, far tesoro di quanto succede adesso per evitare che i virus facciano “il salto di specie”, Ciò che succede adesso è già successo con ebola, con l’AIDS, con l’aviaria, con la suina, ma da quelle epidemie non abbiamo imparato a modificare i nostri comportamenti dannosi per il “sistema pianeta” che favoriscono il “il salto di specie” dei virus. dovremmo vivere questo momento per imparare a capire la sua logica che è una logica evoluzionistica.
La seconda. In una conferenza tenuta a Londra nel 1968 riportata in Verso un ecologia della mente (Cap. Finalità cosciente e natura pag. 474-475) Gregory Bateson disse che la carenza di saggezza sistemica è sempre punita e per spiegare in che cosa consistesse questa mancanza di saggezza raccontò un mito. Disse proprio così: vi voglio raccontare un mito.
C’era una volta un giardino il quale conteneva molte centinaia di specie che vivevano in fecondità ed equilibrio. In quel giardino c’erano due antropoidi più intelligenti degli altri animali. Su uno degli alberi c’era un frutto che le due scimmie non erano in grado di raggiungere. Essi cominciarono allora a pensare, a pensare per raggiungere un fine. Dopo un po’ la scimmia maschio, che si chiamava Adamo, andò a prendere una cassa vuota che mise sotto l’albero…si arrampicò sulla cassa e finalmente raggiunse la mela. Adamo ed Eva erano ebbri di eccitazione. Così si doveva fare: si escogita un piano ABC, e si ottiene D. Cominciarono allora ad esercitarsi a fare le cose secondo un piano. Di fatto estromisero dal giardino il concetto della sua natura sistemica globale e della loro stessa natura sistemica globale. Dopo aver estromesso Dio dal giardino, essi si misero a lavorare seriamente in questo modo finalizzato. Ben presto l’humus scomparve, parecchie piante divennero malerbe, e alcuni animali divennero flagelli. Adamo dovette guadagnarsi il pane con il sudore della fronte e disse “E’ un Dio vendicativo; non avrei mai dovuto mangiare quella mela”. Inoltre, dopo che essi ebbero cacciato Dio dal giardino, intervenne un cambiamento qualitativo nei rapporti tra Adamo ed Eva. Eva cominciò a sentire il peso della riproduzione e della sessualità; ogni volta che questi fenomeni basilari interferivano con la sua vita, che ora si svolgeva in modo finalizzato, le tornava alla mente la più vasta vita che era stata bandita dal giardino.
Sentiamo dire sui social, leggiamo sulla stampa: “quando, passati questi giorni terribili, torneremo alla normalità, nulla sarà più come prima”; certamente si tornerà ad una normalità; come ogni sistema vivente tende ad un equilibrio che poi propende a mantenere, così anche il nostro sistema tenderà verso un equilibrio, che chiameremo “normalità”.
Non è chiaro però che cosa sarà definito normale. Si potrà pensare di tornare ad una normalità che, pur con qualche aggiustamento, garantirà a chi lo potrà, il ritorno ai vecchi stili di vita. Lo teme Serge Latouche (cfr. la Repubblica del 21/3/20 intervista a pag.44): per alcuni sarà gradevole, almeno all’inizio, poi riprenderemo a lamentarci dei disastri epocali incombenti. Tutti a piangere e a ridere aspettando la prossima crisi.
Si potrà dare un’altra idea di normalità, una normalità che non sappiamo ancora descrivere, ma che sicuramente non sarà la normalità fondata sul progresso indefinito dell’homo sapiens verso il dominio della natura, perché questa idea non tiene conto della nostra fragilità. Potrà essere una idea di normalità che si basa sulla cura della struttura che ci connette a tutti gli organismi del pianeta TERRA. Sarà un’idea atta a spiegare e abitare i circuiti del mondo come se costituissero una struttura che si forma in una danza di parti che interagiscono tra di loro; sarà un idea che metterà in campo nuove modalità di relazione connotate da sfumature di umiltà, incertezza e esitazione, temperate dalla dignità e dalla gioia di far parte di qualcosa di più grande, che non sempre ci è dato afferrare (Verso un ecologia della mente Cap. Forma sostanza e differenza pag.502 Gregory Bateson).
Potrebbe essere questa l’interpretazione attuale del ben pensare, di cui parla Pascal, per fondare il principio morale. Quale delle due idee di normalità si affermerà non si può sapere. Sarà una questione di scelta che dipenderà dalla politica, che dipenderà da noi stessi.
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