A Correre cotenuto nel Numero 123 de “IlGrandevetro”.
Aldo Palazzeschi: I Fiori
Non so perché quella sera, / fossero i troppi profumi del banchetto… / irrequietezza della primavera… / un’indefinita Pesantezza / mi gravava sul petto, / un vuoto infinito mi sentivo nel cuore… / ero stanco, avvilito, di malumore. / Non so perché, io non avea mangiato, / e pure sentendomi sazio come un re / digiuno ero come un mendico, / chi sa perché? / Non avevo preso parte / alle allegre risate, / ai parlar consueti / degli amici gai o lieti, / tutto m’era sembrato sconcio, / tutto m’era parso osceno, / non per un senso vano di moralità, / che in me non c’è, / e nessuno s’era curato di me, / chi sa… / O la sconcezza era in me… / o c’era l’ultimo avanzo della purità. / M’era, chi sa perché, / sembrata quella sera / terribilmente pesa / la gamba / che la buona vicina di destra / teneva sulla mia / fino dalla minestra. / E in fondo… / non era che una vecchia usanza, / vecchia quanto il mondo. / La vicina di sinistra, / chi sa perché, / non mi aveva assestato che un colpetto / alla fine del pranzo, al caffè; / e ficcatomi in bocca mezzo confetto / s’era voltata in là, / quasi volendo dire: / “ah!, ci sei anche te”. // Quando tutti si furono alzati, / e si furono sparpagliati / negli angoli, pei vani delle finestre, / sui divani / di qualche romito salottino, / io, non visto, scivolai nel giardino / per prendere un po’ d’aria. / E subito mi parve d’essere liberato, / la freschezza dell’aria / irruppe nel mio petto / risolutamente, / e il mio petto si sentì sollevato / dalla vaga e ignota pena / dopo i molti profumi della cena. / Bella sera luminosa! / Fresca, di primavera. / Pura e serena. / Milioni di stelle / sembravano sorridere amorose / dal firmamento / quasi un’immane cupola d’argento. / Come mi sentivo contento! / Ampie, robuste piante / dall’ombre generose, / sotto voi passeggiare, / sotto la vostra sana protezione / obliare, / ritrovare i nostri pensieri più cari, / sognare casti ideali, / sperare, sperare, / dimenticare tutti i mali del mondo, / degli uomini, / peccati e debolezze, miserie, viltà, / tutte le nefandezze; / tra voi fiori sorridere, / tra i vostri profumi soavi, / angelica carezza di frescura, / esseri puri della natura. / Oh! com’ è bello / sentirsi libero cittadino / solo, / nel cuore di un giardino. / – Zz… Zz… / – Che c’è? / – Zz… Zz… / – Chi è? / M’avvicinai donde veniva il segnale, / all’angolo del viale / una rosa voluminosa / si spampanava sulle spalle / in maniera scandalosa il décolleté. / – Non dico mica a te. / Fo cenno a quel gruppo di bocciuoli / che son sulla spalliera, / ma non vale la pena. / Magri affari stasera, / questi bravi figliuoli / non sono in vena. / – Ma tu chi sei? Che fai? / – Bella, sono una rosa, / non m’hai ancora veduta? / Sono una rosa e faccio la prostituta. / – Te? / – Io, sì, che male c’ è? / – Una rosa! / – Una rosa, perché? / All’angolo del viale / aspetto per guadagnarmi il pane, / fo qualcosa di male? / – Oh! / – Che diavolo ti piglia? / Credi che sien migliori, / i fiori, / in seno alla famiglia? / Voltati, dietro a te, / lo vedi quel cespuglio / di quattro personcine, / due grandi e due bambine? / Due rose e due bocciuoli? / Sono il padre, la madre, coi figlioli. / Se la intendono… e bene, / tra fratello e sorella, / il padre se la fa colla figliola, / la madre col figliolo… // Che cara famigliola! / È ancor miglior partito / farsi pagar l’amore / a ore, / che farsi maltrattare / da un porco di marito. / Quell’oca dell’ortensia, / senza nessun costrutto, / si fa sì finir tutto / da quel coglione / del girasole. / Vedi quei due garofani / al canto della strada? / Come sono eleganti! / Campano alle spalle delle loro amanti / che fanno la puttana / come me. / – Oh! Oh! / – Oh! ciel che casi strani, / due garofani ruffiani. / E lo vedi quel giglio, / lì, al ceppo di quel tiglio? / Che arietta ingenua e casta! / Ah! Ah! Lo vedi? È un pederasta. / – No! No! Non più! Basta. / – Mio caro, e ci posso far qualcosa / io, / se il giglio è pederasta, / se puttana è la rosa? / – Anche voi! / – Che maraviglia! / Lesbica è la vainiglia. / E il narciso, quello specchio di candore, / si masturba quando è in petto alle signore. / – Anche voi! / Candidi, azzurri, rosei, / vellutati, profumati fiori… / – E la violacciocca, / fa certi lavoretti con la bocca… / – Nell’ora sì fugace che v’è data… / – E la modestissima violetta, / beghina d’ogni fiore? / Fa lunghe processioni di devozione / al Signore, / poi… all’ombra dell’erbetta, / vedessi cosa mostra al ciclamino… / povero lilli, / è la più gran vergogna / corrompere un bambino / – misero pasto delle passioni. / Levai la testa al cielo / per trovare un respiro, / mi sembrò dalle stelle pungermi / malefici bisbigli, / e il firmamento mi cadesse addosso / come coltre di spilli. / Prono mi gettai sulla terra / bussando con tutto il corpo affranto: / – Basta! Basta! / Ho paura. / Dio, / abbi pietà dell’ultimo tuo figlio. / Aprimi un nascondiglio / fuori della natura!
Dino Carlesi: La Piazza dei Miracoli
La Piazza dei Miracoli vera / è quella di Viviani / l’altra è falsa: è senza cani. / Il Battistero d’alabastro / una mattina gli fiorì sulle mani
Dino Carlesi: In ricordo di Anna
Devi farmi seguitare a credere che non è colpa mia se / non riesco a superare la mia paura di naufrago // Devi farmi seguitare a credere che quel sorriso fu l’ultimo prima / di sorridermi e poggiare il capo a sinistra // Devi farmi seguitare a credere che quel sorriso fu l’ultimo prima / di sorridermi e poggiare il capo a sinistra // Devi farmi seguitare a credere che le idee / incontreranno le idee senza uccidersi a vicenda // Devi farmi seguitare a credere che la mia prima memoria / fu lieve e innocente perché lieve e innocente fu la storia // Devi farmi seguitare a credere a quel filo di luna / sul davanzale aveva un significato preciso // Devi farmi seguitare a credere che quando il Cristo / raccontava le sue favole fosse in buona fede // Devi farmi seguitare a credere che un anello all’anulare sinistro / nasconda la gloriosa follia della prima notte
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