Spesso quando si vuole attirare l’attenzione sulle diseguaglianze sociali nel pianeta, si cita un ben preciso indicatore, che porta con sé il nome dello studioso italiano vissuto nel secolo scorso che lo ha ideato: Corrado Gini. Il coefficiente di Gini dal 1912 è lo strumento statistico più autorevole, più universale, più attendibile per misurare la distanza tra i ricchi e i poveri. L’indice si muove fra 0 e 1, dove 0 indica la completa equidistribuzione della ricchezza (tutti percepiscono lo stesso reddito), mentre 1 corrisponde alla massima concentrazione (un individuo controlla tutta la ricchezza nazionale). Quando diversi premi Nobel dell’economia, come Joseph Stiglitz, Paul Krugman, Amartya Sen, insistono sui pericoli di una “deriva delle diseguaglianze”, che non è soltanto inaccettabile sul piano etico e politico, ma impedisce una ripresa economica sana, solida e sostenibile, citano il coefficiente Gini: è in quel numero la conferma scientifica e indiscutibile che le diseguaglianze sono aumentate, sia in un trend secolare che più recente. Anche la destra neoliberista si guarda bene dal contestarlo. Semmai i nipotini di Ronald Reagan oppongono che è meglio essere più diseguali, ma tutti un po’ più ricchi: è la metafora reaganiana dell’alta marea che alza tutti i battelli, sia gli yacht che le barche dei pescatori.
Il paradosso è che lo stesso statistico, riverito dal pensiero progressista del terzo millennio, era l’autore di un saggio intitolato Le basi scientifiche del fascismo (1927); il duce lo fece presidente dell’Istituto Centrale di Statistica ed era influenzato dal suo pensiero soprattutto sulla demografia. Nel suo I fattori demografici dell’evoluzione delle nazioni, Gini infatti aveva teorizzato l’importanza della natalità elevata come motore di dinamismo, mentre con il benessere subentra la denatalità, a cominciare dalle classi sociali più elevate, e da qui lo stadio finale della decadenza, in cui le nazioni senescenti soccombono inevitabilmente nella competizione con quelle più giovani. La fede fascista di Gini gli procurò qualche guaio al termine della seconda guerra mondiale: costretto a dimettersi da tutti gli incarichi accademici in attesa della conclusione del processo sulle sue responsabilità durante il regime, il 24 gennaio 1945 fu sospeso senza stipendio per un anno. Ma al termine di un ricorso, il 17 dicembre 1945, Gini fu di fatto prosciolto da tutte le accuse, l’anno seguente riprese a insegnare e nel 1949 a presiedere la Società Italiana di Statistica, fino alla sua morte.
Cosa ci indica il coefficiente di Gini oggi? Negli ultimi venti anni la disuguaglianza nel mondo è cresciuta praticamente ovunque, ma meno in Europa. Qui, secondo i dati del 2016, i paesi con la ricchezza più equi-distribuita sono i paesi scandinavi, la Germania e alcuni paesi dell’est, con un indice compreso tra lo 0,25 e lo 0,30. Nel resto del mondo, l’unica grande potenza ad avere un indice di concentrazione così basso è il Giappone. Al contrario, i paesi con il più alto indice di concentrazione della ricchezza sono Bolivia, Colombia, Namibia, Gambia e Sud Africa, con valori vicini allo 0,66. Stati Uniti e Russia hanno un alto indice di concentrazione (fra lo 0,40 e lo 0,45) e anche la Cina non si allontana troppo dallo 0,50. L’Italia fa meglio di altri paesi sviluppati, ma a livello europeo occupa la ventesima posizione su 28, con un coefficiente pari a 0,331.
Tradizionalmente si sostiene che gli Stati Uniti combinano grandi disuguaglianze nell’accesso all’istruzione e un sistema fiscale poco progressivo, che impatta più sui poveri che sui ricchi; in Europa invece la tassazione è progressiva e il sistema di welfare riesce a riequilibrare le disuguaglianze nell’accesso all’istruzione e nell’integrazione ai redditi più bassi. Tuttavia, da una recente ricerca condotta da Antonio De Lellis, per conto di Attac Italia, presentata il 27 ottobre a Roma, emerge che anche in Italia il sistema fiscale regressivo ha sfavorito i redditi medio alti e favorito i redditi molto alti, tanto da essere progettato per sottrarre, ad oggi, al sistema paese circa 900 miliardi di euro che solo in minima parte sono tornati indietro alle stesse famiglie. Il sistema fiscale nel tempo è stato riformato anche nel senso di contrastare il cumulo dei redditi ai fini fiscali, riducendo così le aliquote applicate. Ciò ha aiutato molto i super ricchi con una media di risparmio fiscale a contribuente pari a 100.000 € all’anno (valori 2016), e sfavorito tutti gli altri, con una perdita media netta di ricchezza a contribuente pari a 23.000 € per tutto il periodo 1983-2017 preso in considerazione.
A livello globale, secondo una recente ricerca riportata nel World Inequality Report guidata, tra gli altri, da Thomas Piketty, gli squilibri economici nel mondo rappresentano un fenomeno di lungo corso e non il portato della crisi degli ultimi 10 anni. Il drastico allargamento della forbice tra top e down della scala sociale è un tratto caratteristico degli ultimi 30 anni della nostra storia mondiale, anche in tutti i paesi dell’Europa occidentale. Questo è stato causato da una riduzione delle imposte a favore dei ricchi, come in Italia, ma anche dal declino del capitale pubblico in economia e dall’aumento del ruolo delle privatizzazioni che non restituiscono più i benefici tra la collettività. Inoltre, il maggior peso dalla ricchezza offshore impedisce che patrimoni formatesi all’interno di una nazione possano essere redistribuiti. Nella disuguaglianza c’è un forte vissuto di deprivazione relativa: uno “smottamento” lo definisce il Censis. La perdita relativa di ricchezza dei molti nei confronti delle élites accresce l’invidia e il risentimento sociale, alimenta il populismo e l’avventura politica.
Nel Global Wealth 2018, l’ultimo rapporto del Boston Consulting Group (una società che offre consulenza per gli investimenti di elevato valore), la ricchezza finanziaria privata mondiale è cresciuta del 12%, raggiungendo nel 2017 il totale di 201,9 mila miliardi di dollari. Si tratta di una cifra che è circa 2,5 volte più grande del PIL mondiale annuale, che ammonta a circa 81 mila miliardi di dollari. L’Italia è l’ottava nazione al mondo con 5 mila miliardi di dollari di ricchezza finanziaria personale ed è tra i Paesi in cui sono aumentate maggiormente le disparità. Secondo l’Ocse, come “nei paesi in cui la tassazione sul reddito da capitale è bassa e dove non ci sono tasse di successione”, in Italia “si potrebbe avere lo spazio per una tassa patrimoniale”. Dentro alla montagna di debito pubblico italiano usata come costante motivazione di privatizzazioni e svendita del patrimonio pubblico, c’è dunque una parte consistente che deriva dalle minori entrate per lo Stato a causa delle politiche fiscali a favore dei ricchi. Il debito ancora una volta è la chiave di volta con cui le classi agiate si sono arricchite operando un vero “travaso” attraverso una “restituzione forzata” di ciò che le battaglie sociali e sindacali avevano ottenuto negli anni precedenti. Svelare questi meccanismi e renderli patrimonio comune può aiutarci ad arricchire il discorso pubblico sulla distribuzione della ricchezza e a non cadere nella “ideologia dell’ordine delle cose” per cui la colpa delle nostre condizioni socioeconomiche è da attribuire ai migranti o a categorie sociali fragili; a comprendere che tutti i governi italiani, dal 1983 ad oggi, si sono inseriti nel solco delle riforme neo-liberiste globali che realizzano disuguaglianze scandalose e governano con ogni mezzo il processo autoalimentandolo senza soluzione di continuità; a renderci conto delle responsabilità dell’Europa che, con i suoi vincoli e con le sue storture istituzionali, non indica un’uscita democratica dal finanz-capitalismo; a rifiutare “l’ideologia dell’ordine dei conti”, facendo pagare un debito pubblico, a questo punto incolpevole per il 99% della popolazione, ai ricchi e super-ricchi con patrimoniali straordinarie ed ordinarie e reintroducendo una reale progressività e cumulabilità.
Altro che Flat Tax nella versione scandalosa ed incostituzionale in cui è stata presentata dal governo in carica! Questi approcci e queste ricerche possono ridefinire un discorso pubblico fresco, nuovo, un metodo di approccio sociale e politico che può sortire effetti liberatori nella direzione di una nuova giustizia sociale ed economica mondiale. Anche grazie alla consapevolezza della disuguaglianza, che Gini ha contribuito a rendere così misurabile.
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