Al tempo del coronavirus: NULLA SARA’ COME PRIMA (2) di Giovanni Commare

(…segue, 5 aprile 2020)

 

Verso sera, due amici in un viale di periferia.

Il realista: – Ma senti Macron! Che l’epidemia mostra le crepe del modello di sviluppo imposto al mondo e le debolezze delle nostre democrazie, l’ha detto lui, il presidente francese (12 marzo), dichiarandosi pronto a trarne indicazioni per una svolta politica ed economica. La sanità pubblica gratuita e universale, lo stato sociale, non sono costi ma beni preziosi che devono essere messi fuori dalle leggi di mercato; è una follia delegare ad altri la nostra alimentazione, la sicurezza, la capacità di curare, in ultima analisi la qualità della vita. Te lo saresti immaginato il signor Macron liberista pentito che contesta la globalizzazione?

Il visionario: – Arruoliamo anche lui nel partito del Nulla sarà come prima. Somiglia a quei generali che nelle trincee della Grande  guerra  prima di mandarli al massacro promettevano ai contadini soldati: Nulla sarà come prima, metteremo fine al latifondo, avrete la vostra terra da coltivare. Sappiamo come andò a finire. Siamo autorizzati a sospettare che le “decisioni di rottura” annunciate dal presidente francese siano un tentativo di coprire quelle crepe, che riguardano anche il sistema di potere. Teme forse la rivoluzione?

R: – Considera che neanche le guerre, tranne qualche sporadica eccezione, tipo 1917 in Russia, portano le rivoluzioni, e tu te l’aspetti dall’epidemia? Credi che dalla paura nascano rivoluzioni? Forse ti sei lasciato ingannare dall’abusata metafora della “guerra” contro il virus. L’epidemia, contrariamente alla guerra, non distrugge ricchezza, ma ne sospende solo la produzione. Consuma al massimo una parte dei risparmi, fa crescere i debiti. A distruggere ricchezza è semmai l’ordinaria guerra della speculazione che brucia una quota di valore astratto nel gioco di borsa. Ma questo può essere anche un bene per il sistema. Ogni crisi elimina i rami meno produttivi.

V: – Tu non vedi quanto sia ormai senso comune che  questo modello di sviluppo è insostenibile. Rimasta finora una sorta di musica di fondo, questa consapevolezza che ha mobilitato qui e là le masse giovanili in difesa dell’ambiente potrebbe incunearsi nella crepa di una crisi economica esplosiva e finalmente concretizzarsi in proposte politiche che affrontino i rapporti di produzione. Il disastro lasciato dall’epidemia potrebbe indurre un collegamento tra la difesa dell’ ambiente e la critica al modo di produzione capitalistico.

R: – Questo mi sembra più un sentimento che un progetto politico.

V: – Insisto. L’epidemia ha rivelato non solo l’inadeguatezza delle strutture  sanitarie ma anche la fragilità del sistema economico mondiale spezzandone le principali filiere e determinando un blocco delle attività economiche. I morti saranno dimenticati, ma le masse dei disoccupati e soprattutto quella quota sempre più larga di manodopera senza lavoro e senza reddito saranno  l’esca della rivolta. La riduzione del PIL tra il 10 e il 20% e l’aumento proporzionale della disoccupazione, soprattutto nel largo mondo dei precari e del lavoro in prestito, significa distruzione di aziende e fame. Questo se la crisi si risolve in 3-4 mesi,  oltre c’è la catastrofe.

R: – Rivolta può darsi. Ma posso farti un quadro ancora più nero, dirti che la crisi segnerà per coloro che sono già oggi in povertà il passaggio alla miseria, se non proprio alla fame. Ma le masse disperate, mio caro amico, non sono truppe per la rivoluzione: è molto più probabile che si scaglino contro i loro vicini di casa, magari quei privilegiati che campano di pensione, almeno finché le pensioni saranno pagate, e che diventino massa di manovra per chi riesce a sfruttarne la rabbia e la paura. Non lo vedi come basta poco a farci star chiusi in casa e ubbidienti rispetto a chi guidandoci ci rassicura? Nonostante i bambini che cantano Va pensiero e i cartelloni Andrà tutto bene, nonostante il sentimentalismo che si sparge sul dolore di oggi, dall’epidemia usciremo ancora più incattiviti e più individualisti al grido mors tua vita mea.

V: – Chi ha detto che deve essere questa la via d’uscita? Non ci sono solo gli altri in campo, ci siamo anche noi che abbiamo sempre voluto cambiare lo stato delle cose. Per evitare quell’ esito che per te è scontato, bisogna allargare le  crepe del sistema, secondo il principio, ora manifesto a larghe masse, che a orientare gli investimenti devono essere l’interesse nazionale e il bene collettivo, non il mercato; che non solo la produzione di beni essenziali ma anche i settori strategici dell’economia devono essere pianificati dallo Stato. Quel sentimento di comunità che abbiamo visto crescere nelle settimane di reclusione, ora va recuperato e messo a frutto in un’azione collettiva: dall’io che abbiamo curato nella reclusione dobbiamo far sorgere il noi dell’azione.

R: – Pianificazione? Ti pare che siamo in Cina? Cerca per una volta di essere realista. Abbiamo già il nostro campione, Mario Draghi, quello che ha avuto il coraggio di dire le cose come stanno: la pandemia ha impresso a tutto il sistema economico uno shock che il settore privato non può assorbire. Corollario: lo sfascio del sistema può essere evitato solo dall’intervento statale. Così il mantra più mercato meno stato viene messo da parte, anzi l’intervento dello stato nell’economia viene reclamato da tutti, dal barista all’industriale, dal padroncino dell’autotrasporto all’azionista della multinazionale. Persino la Banca Centrale Europea è disposta a sganciare alcune centinaia di miliardi di euro. Naturalmente è giusto dare di che vivere alle famiglie in condizione di povertà, sostegno ai disoccupati e pure alle imprese perché evitino i licenziamenti.

V: – Bella novità. Questa linea così chiaramente esposta non è che la solita, vecchia anzi vecchissima ricetta: socializzare le perdite, privatizzare i profitti. È già successo, sempre, in ogni crisi grande e piccola, e ora viene riproposta per salvare il sistema, la proprietà privata dei mezzi di produzione. Lo stato dà ossigeno al sistema produttivo salvando le azienda dalla crisi di liquidità e i poveri dalla fame, garantendo il pagamento delle pensioni, per evitare la rivolta, fino a quando tutto tornerà a girare come prima, anzi peggio di prima perché aumenterà in misura inimmaginabile la povertà, anche per chi avrà un lavoro, mentre l’apertura incondizionata del credito farà più ricchi i ricchi e ancora più potente la borghesia mafiosa.

R: – Voi rivoluzionari vedete sempre alternative estreme, tipo socialismo o barbarie, e sappiamo com’è finita. Pensa invece a una via di mezzo, né catastrofe né paradiso in terra. Lascia correre le cose sui soliti binari, alla guida del treno ci metti un uomo di esperienza, uno che rassicura banchieri, speculatori, governanti e popolo, uno come Mario Draghi appunto, che così chiuderebbe splendidamente il decennio 2011-2020 (te la ricordi la famosa lettera scritta insieme a Trichet che fece fuori Berlusconi?) e da governatore si farebbe re. Saprebbe ottenere sacrifici dai soliti in nome dell’interesse generale, metterebbe un po’ d’ordine nei conti e avvierebbe il paese a una restaurazione moderata promettendo che tutto – o quasi –  tornerebbe come prima. Sarà più precaria la vita? Può darsi, specie se il contrattacco della potenza cinese, cogliendo l’occidente ancora impantanato nell’epidemia, potrà sconvolgere i rapporti internazionali. E poi, siamo onesti, quando si prova la vera paura, si diventa ben disposti a difendere ciò che ancora si ha e si può perdere.  Quelli che moriranno di fame saranno forse un po’ meno lontani, ma avremo la speranza di vederli solo in televisione. Solo un po’.

V: – Anche da quello che dici tu emerge che siamo in una di quelle situazioni in cui l’egemonia della classe dominante, l’egemonia culturale, la sua visione delle cose è andata in frantumi. Si tratta di agire per creare nuova egemonia.

R: – Ma chi può crearla questa egemonia? Non c’è una classe, e neanche una cultura all’altezza di questo compito; altro che minacciare il sistema di potere. Gli operai, i lavoratori, sono addomesticati: da una parte hanno introiettato la cultura del liberismo e dell’individualismo, dall’altra sono sotto il ricatto esercitato dalla massa minacciosa e crescente dei precari  privi di diritti, che stanno lì a dire Attenzione che finite come noi o peggio. È tutta gente che da vent’anni non fa uno sciopero, neanche per il rinnovo del contratto. La classe operaia non ha coscienza di classe e non pensa alla rivoluzione, credimi, è ben contenta se riesce a mantenere quello che ha. Quelli che dovrebbero pensarla la rivoluzione hanno smarrito anche le armi della critica, mancano di un pensiero nuovo adeguato ai tempi e rischiano di essere patetici se solo aprono bocca.

V: – Ma guarda che anche questo discorso ormai è vecchio, vecchissimo. Può anche darsi che da dentro il disastro continui a essere più facile immaginare la fine del mondo, sebbene la sentiamo più lontana a causa dell’inganno prospettico dell’urgenza di salvare la pelle, piuttosto che la fine del capitalismo, come ci ha ricordato il povero Mark Fischer un paio di anni fa. E tuttavia nel disastro che ci si prepara tante sicurezze possono venir meno e la pressione della rivolta che preme dall’esterno può risvegliare il vecchio leone, scosso dalla minaccia di un’ulteriore sottomissione della forza lavoro.

R: – Ecco, questa è poesia!

V: – No, te lo dico in prosa. Pensa a quello che ha prodotto il blocco delle attività produttive: si è manifestato in tutta evidenza a chiunque che solo il lavoro produce la ricchezza. Una lezione marxiana, dal vero. Anche un bambino ha capito che sospendendo il lavoro, non per un anno ma per molto meno, ogni nazione crepa. È evidente a tutti che solo il lavoro produce ricchezza materiale. Ecco, basterebbe che gruppi di lavoratori arrivassero a questi primi gradini della coscienza di classe perché la partita si riaprisse.

R: – Guardati intorno. Lo conosci questo paese? Chi potrebbe ascoltare questi discorsi?

V: – Intanto ci sei tu.

R: – Io? Io sono pensionato e ora me ne torno a casa, prima che scatti il coprifuoco o che qualche delatore mi denunci. Ti saluto.

V: – Salute!

 

 

 

1 Commento

  1. Sarà perché qui domina il pessimismo dell’intelligenza,nell’insieme ne ho ricevuto una sensazione di spuntoni dolorosi. I dialoghi densi, interessanti, sintetizzano efficacemente posizioni antitetiche.Ma quell’ottimismo della volontà,che ritengo indispensabile in questo periodo,si percepisce con difficoltà (mentre in “teniamo pulita la prigione”vengono dati elementi di resistenza positiva).Queste riflessioni, che costituiscono una base teorica(politico-filosofico-sociale)per il “dopo”, e per questo forse paiono a me un po’ostiche, finiscono però in bellezza: la “scoperta”che sospendendo il lavoro ogni nazione crepa. Solo l’esperienza drammaticamente viva e reale ci ha fatto capire una cosa così semplice e ovvia…Può essere una speranza di comprensione futura?

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