Corona del carognavirus (serie completa al 27 marzo 2020, dosi omeopatiche)
Decio Macca
Sonetto Caudato
Si chiudono i parchi, riaprono le chiese.
Si può pregare, ma l’aria e il sole
per la salute delle persone sole
sono vietate nel nostro Belpaese.
Attento a calcar i prati con le suole,
le verità sui passi son pretese:
si rischia la galera per un mese
anche senza calpestar l’aiuole.
Questo virus speravo ci guarisse
per sempre dalle favole de’ preti:
che per loro fosse l’apocalisse,
che svanissero come odor di peti.
Ma le paure, quelle vecchie e fisse,
co’ santi si curano e i dogmi vieti
di risorti profeti.
Milan, invoca la bela Madunina,
che per il Covid basta l’aspirina.
Etrusco Lucano
Per le rime
Risposta caudata a Decio Macca
Chi le moldave cerca e chi le chiese
al tempo della peste, come suole,
per ristorar l’uccello che si duole
o l’alma ripulire dalle offese.
È tutto in gran fervore il Belpaese:
se è il governo ladro che lo vuole,
chiunque si pasce sotto questo sole
patriottico si sente per un mese.
In cuor chi s’augurava che finisse
per sempre la genìa di frati e preti
non fece il conto dell’eterno ellisse
che aggira anche di morte i suoi divieti
ed applicando proprie leggi fisse
spietata insulta vecchi tristi e lieti.
Ahi futili decreti!
Lavatevi le mani di mattina,
cantate alla finestra la manfrina.
Etrusco Lucano
Epidémia
A piedi se n’andava per la via
il papa che non dice epidemia
perché non sa che rima con poesia
e pensa: vien la morte e porta via.
Ma come va la vita e come sia,
a me piace l’accento in lingua mia.
Stefano Tonietto
Tre sonetti pandemici
1.Né manco può ambular, per lo contagio
Solo et pensoso i più deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human l’arena stampi.
Altro schermo non trovo che mi scampi
dal contagio che viene da le genti,
perché con termoscanner truculenti
non mi si legga se io dentro avampi:
sì ch’io mi credo omai che monti et piagge
et fiumi et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch’è celata altrui.
Ma pur sì aspre vie né sì selvagge
cercar non so che non mi fermi sempre
quel del Comune, e non mi multi lui.
2.Pretexti ’nventa per exir di casa
Mòvesi il vecchierel canuto et biancho
del dolce loco ov’à sua età fornita
et da la famigliuola sbigottita
che vede il caro padre venir manco;
indi trahendo poi l’antiquo fianco
per l’extreme giornate di sua vita,
quanto piú pò, col buon voler s’aita,
rotto dagli anni, et dal camino stanco;
et viene in piazza, seguendo ’l desio,
per farsi un bicchierino, uno scopone,
e al gratta-e-vinci anchor vincere spera:
cosí, lasso, talor vo cerchand’io,
agente, con la certifichazione,
d’evitarmi la multa o la galera.
3. Ricorda el giorno de lo tampone positivo et si maraviglia
che la su’ donna non sii in quarantena
Era ’l giorno ch’a me si scoloraro
per la pietà del mio tampone i rai,
quando i’ fui preso, et non me ne guardai,
ché i sanitari, donna, m’isolaro.
Tempo non mi parea da far riparo
contra’ colpi del mal; però m’andai
secur, senza sospetto; onde i mei guai
nel commune dolor s’incominciaro.
Trovòmmi il virus tutto disarmato,
et aperta la via per gli occhi al core,
che di lagrime son fatti uscio et varco:
però, al mio parer, non li fu honore
lassar me per contagio imprigionato,
e voi libera andare per lo parco.
Maria Beatrice Di Castri
Il morbo infuria
Il morbo infuria, ma qui non par traccia,
anzi un bel sole illumina la strada
e si vorrebbe metter fuor la faccia,
ma v’è l’insidia: a chiunque se ‘n vada,
i pubblici ufficiali dan la caccia:
e forse – orrore! – ognun di noi la spada
del contagio brandisce, e poi lo spaccia
a chi ha corazza d’anticorpi rada.
Se a Bergamo la falce non dà pace
e ai nosocomi aumenta la gravezza,
qui un po’ straniti stiamo asserragliati
temendo il Gran Nemico pertinace
come Giovanni Drogo alla fortezza,
sospirando da lungi i nostri prati.
Marco La Rosa
Tanto incivile
Tanto incivile e pur funesta pare
la donna mia quand’ella altrui starnuta,
ch’ogne persona trema e strada muta,
la mascherina svelta a rincalzare.
Ella si va, sentendosi evitare,
dolentemente d’ansietà abbattuta;
e par che sia una cosa venuta
dallo ninferno per farci annientare.
Mostrasi sì spiacente a chi la mira,
che dà per li occhi un’amarezza al core,
che ’ntender no la può chi non la prova:
e par che de la sua labbia si mova
un spirito grave pien d’umore,
che va dicendo a l’anima: Su, spira!
Giancarlo Micheli
Tu e il capitale / You and the Capital
Il capitale, lo metto per scritto,
come una vanga nella merda sta ritto;
se vuoi pigliarla tu, paga l’affitto,
non ti lamentare, restatene zitto,
fatica ed abbine diletto.
È questo l’unico mondo perfetto
che alla tua cagionevole fibra sia adatto,
l’unico di cui potresti restar soddisfatto.
In maniera ammirevole tutto è già stato fatto,
non ti resta che prender partito.
E perché tutto ciò sia finito,
come vuoi, anch’io l’ho saputo,
non basta, foss’anche per sempre, un saluto,
non serve fuggire; forse, minuto per minuto,
tener testa alla menzogna, fattasi, di fede in statuto,
a cielo aperto, un’unica immane cloaca abusiva;
forse, la lotta, di ora in ora, per tenerla in sé viva,
farla nascere ad ogni istante, presenza
dell’altro in ciascuno, amorevole sapienza.
(dalla raccolta verses versus Capital)
The Capital, by my troth I write,
as a spade in the shit stands upright;
if you want to take it, you have to hire,
shut up and don’t whine,
toil and of that get delight.
This is the only perfect world,
your weak fiber suitable for,
the only you might be satisfied with.
Everything has already been done with some wit,
you just have to look up the balance sheet.
If you want put an end to it all,
as I guess we can make a whole,
it’s not enough a goodbye and neither a farewell,
you don’t need to flee; by the minute, maybe,
cope with the lie that became, from faith to decree,
in the open air, a huge mephitic cesspit;
perhaps, the struggle, till truly alive it’ll be,
by the hour deliver it, presence
in each one of the other, lovely sapience.
(from the collection of poems verses versus Capital)
Marco La Rosa
Il virus corona di marzo
Che dice il virus corona
di marzo, che picchia e bastona
i poveri vecchi?
Sul letto ne ammazza parecchi:
il canuto, il castano ed il moro,
il biondo dai riccioli d’oro.
L’uggiosa pandèmia è venuta,
tossisci, starnuta!
C’è fuori la nuvola nera,
c’è fuori la nuvola bigia
che in cielo si pigia,
domani uscirà Primavera
guernita di gemme e di bare,
di lucido sole,
di fresche viole,
(attento, di devi bendare)
di nidi,
di gridi,
di rondini, ed anche
di ambulanze che corrono, bianche…
Che dice il virus corona
di marzo, che picchia e bastona
i poveri vecchi?
Sul letto ne ammazza parecchi:
il canuto, il castano ed il moro,
il biondo dai riccioli d’oro.
Ciò canta, ciò dice:
e il cuor l’ascolta infelice.
Che dice il virus corona
di marzo, che picchia e bastona
i poveri vecchi?
Sul letto ne ammazza parecchi.
Marco La Rosa
La vispa Teresa
La vispa Teresa
stamane è sospetta
e fatta la spesa
a casa s’affretta.
E mentre saliva
la febbre cattiva,
gridava a distesa:
“L’ho presa! L’ho presa!”.
Ma a lei supplicante
qualcuno gridò:
“Idiota vagante
la multa ti fo’!
Tu fai molto male
a scender le scale
del nido natio.
Sta’ zitta, per Dio!”.
Confusa, pentita,
Teresa arrossì,
La storia è finita:
Teresa morì.
Michele Feo
Al grande Fosco e al lonfo universale
che fecer di quaresma il carnovale
Il virus non perdozza né gluisce
e solo con corona si arrabatta,
ma quando tira dritto e morte bisce
si sfila un poco e guagio te l’ha fatta.
È frusco il virus, pieno di lupigna,
piraneria sotterza e grigna lenta!
Se stronfi ti marmaglia e ti arruscrigna,
se scogni ti sbudella e ti criventa.
Ed ora il novo lonfo margelluto
che pesta e stanco stonca nei trombazzi
fa stragica stanzìa, fa il bisuto,
e quasimente in cambio di smerdazzi
gli ammazzevassi un mazzo. E lui fottuto
t’alloppa, ti squarquaglia… e tu? l’accazzi
Siete degli sciagurati! Ma mi sono fatta delle belle risate!