Legittima difesa della Costituzione
La legittima difesa della “roba” – In questo periodo legittima difesa è diventata parola d’ordine reazionaria – leghista e fascista –, portando a conseguenze estreme un pensiero che già la collegava all’ordine costituito ed alla sicurezza: infatti la propria “roba” (nel senso che le dà Giovanni Verga in una sua novella) ha assunto più valore della vita umana, per cui puoi tranquillamente sparare al ladro che attenta alla tua proprietà. Per dare piena visibilità a questo concetto, Matteo Salvini è andato a trovare in carcere, mostrandole così la sua solidarietà, la persona che ha sparato a chi aveva cercato di derubarlo, anche se ormai in condizione di non nuocere – una persona in carcere perché giustamente condannata per tentato omicidio.
Perciò bisognerebbe tornare a declinare queste due parole in un senso non in sintonia con la barbarie dilagante.
La legittima difesa della Costituzione – Come può legittimamente difendersi dagli atteggiamenti ostili, alimentati dalle istituzioni, il migrante che giunge nel nostro Paese dopo aver superato una serie infinita di ostacoli?
Come ci si può difendere, tutte/i noi che riteniamo la Costituzione nata dalla Resistenza base essenziale della nostra vita democratica e dei nostri rapporti con gli altri, dai continui e ripetuti attacchi alla legittimità costituzionale?
Come si può reagire, in nome appunto della legittima difesa – dalla violenza e dall’odio -, al clima di crescente intolleranza, che porta spesso ad atti violenti (sempre più frequenti – vedi le segnalazioni di “Cronache di ordinario razzismo”, un osservatorio che fa opera di monitoraggio su quanto avviene in Italia -)?
E’ certo che la barbarie ha avuto una crescita esponenziale in questi ultimi mesi. Già a novembre registravamo che si stavano mettendo in moto degli anticorpi rispetto al razzismo ed alla xenofobia, ma ora si ha l’impressione che si sia superata una soglia di sopportabilità e che sia scattata in molte persone – fra quelle che non fanno parte degli attivisti irriducibili e che, anche se non identificabili con gli “indifferenti”, ne assumono spesso i comportamenti – la molla dell’”ora basta”.
L’Atto di impegno contro la legge sulla sicurezza – Sembra infatti che anche altre energie stiano aggiungendosi a quelle consuete e che siano disponibili per dare risposte concrete agli interrogativi che ci poniamo, mettendo veramente su un altro piano le questioni della sicurezza, dell’ordine pubblico, della legittima difesa.
Faccio alcuni esempi, tratti dalla realtà locale..
A Firenze, da un’assemblea di alcune settimane fa che ha riunito chi si dedica ad iniziative, antirazziste, a tutela dei diritti, di accoglienza solidale, è scaturito un Atto d’impegno contro la legge sulla sicurezza (quella nata come Decreto Salvini), un atto che prevede la disubbidienza civile e l’obiezione di coscienza. In breve tempo lo hanno sottoscritto quasi 500 persone. Si è pensato di fare incontrare i firmatari dell’Atto di impegno ed all’incontro hanno partecipato circa 250 di loro, in buona parte non i soliti noti delle iniziative antirazziste, ma individui, non associati e finora non impegnati, alla ricerca, sotto la spinta degli eventi, di un’occasione d’impegno.
In tale occasione l’ex magistrato Beniamino Deidda ha esposto le motivazioni per cui la disobbedienza ad una legge ingiusta è un atto di obbedienza nei confronti della Costituzione (si tratta, in altre parole, di legittima difesa della Costituzione) e l’avvocata Anna Lisi ha illustrato gli aspetti della legge sulla sicurezza che sono da contrastare con grande determinazione. Si è deciso che l’attività proseguiva oltre questa assemblea, tramite dei gruppi di lavoro (per l’accoglienza e l’inclusione dei/delle migranti, per la raccolta di fondi, per la comunicazione, per il rapporto con le istituzioni e con altre realtà associative e di movimento). I gruppi, che hanno preso il nome di “Umani per resistere”, continuano a riunirsi: quello sulla comunicazione sta preparando una campagna finalizzata all’informazione ed alla sensibilizzazione, in modo ampio e diffuso, circa le ragioni dell’umano da far prevalere sulla disumanità che ha il suo primo motore nel Governo (una campagna che abbia una sua visibilità, tramite segni di riconoscimento, da indossare o da esporre, come avvenne qualche anno fa con il movimento contro la guerra, quando vi fu alle alle finestre una grande “fioritura” di bandiere della pace).
L’Italia che R-esiste – Quella su cui mi sono soffermato non è la sola esperienza in atto. Alcune domeniche fa, alcune cittadine ed alcuni cittadini, raggruppatisi sotto il nome “L’Italia che R-esiste”, hanno dato appuntamento in piazza, in varie città d’Italia, a tutte/i coloro che non sopportano più
- la chiusura dei porti alle navi delle ONG che operano per salvare i naufraghi in mare,
- i respingimenti dei/delle migranti in Libia – dove vengono rinchiusi/e nei lager e torturati/e -,
- il motto ricorrente nelle parole del Ministro dell’Interno “prima gli italiani”.
Hanno risposto decine di migliaia di persone – circa 80.000 -, in 280 piazze, con l’adesione di oltre 400 associazioni (a Firenze si sono ritrovati in più di mille a piazza Santa Croce, sotto una pioggia insistente che bagnava cartelli e striscioni).
Ebbene, l’iniziativa non si è fermata a questa prima uscita: l’”Italia che R-esiste” ha indetto infatti per il 2 marzo una manifestazione nazionale a Milano, invitando coloro che non vi possono partecipare a ritrovarsi di nuovo in una piazza della propria città. Si tratta, come la volta precedente, di iniziative paritarie, orizzontali, democratiche, trasversali alle diverse appartenenze, a cui ciascuno/a può partecipare con i suoi simboli, bandiere, striscioni, cartelli, avendo come finalità la legittima difesa di quel senso di umanità, che, a partire dal livello istituzionale, si è andato e si va progressivamente perdendo, e la riproposizione di quei valori di fondo costituzionali (e cioè accoglienza, solidarietà, inclusione), che ci permettono, appunto, di “restare umani”.
La necessità di collegare le esperienze – Importante sarebbe ora mettere in contatto fra loro i diversi movimenti, realtà, esperienze, nati e sviluppatisi autonomamente.
Episodi recenti dimostrano da un lato i livelli di disumanità che si sta toccando, dall’altro le possibilità di reazioni positive.
Ne cito, a titolo esemplificativo, uno piccolo, quello del maestro che ha messo in punizione l’allievo nero, dicendo agli altri studenti “Guardate quanto è brutto” (e che ha ripetuto l’impresa in un’altra classe, sottoponendo allo stesso trattamento la sorella del primo ragazzo). L’insegnante – si fa per dire – si è giustificato, dicendo che intendeva fare un esperimento scientifico, ma i genitori hanno condannato tutti l’episodio ed hanno espresso piena solidarietà alla famiglia delle due vittime dei cosiddetti tentativi “sperimentali”.
Siccome è stato anche detto che ciò si inserisce in un clima alimentato dalle parole e dagli atti del Ministro dell’Interno, Salvini ha replicato che non vede quale legame ci possa essere fra quello che lui dice ed il comportamento di un imbecille. Ebbene, ricostruire il quadro d’insieme della tremenda situazione, in cui siamo immersi, e individuare il ruolo che i livelli istituzionali vi svolgono è un compito essenziale per chi si impegna sul terreno dell’antirazzismo. In modo che tutti coloro che mostrano la loro disponibilità, per certi versi nuova, a battersi per restare umani ne prendano coscienza e contribuiscano davvero a cambiare rotta, svolgendo l’azione, oggi prioritaria, di legittima difesa della Costituzione.
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