A tanti piace Marx, senza la rivoluzione. L’ho già detto, ma è bene ripeterlo. C’è tutto un filone di intellettuali e divulgatori, specie statunitensi e britannici, che “scoprono” l’attualità di Marx, come filosofo che spiega il mondo, e subito s’impegnano a collocarlo fuori dalla lotta di classe e dal progetto di rivoluzione per il comunismo. Esemplare è l’articolo di Paul Mason Il messaggio dimenticato di Karl Marx, pubblicato su Internazionale dell’8 giugno scorso (era uscito su New Statesman, il settimanale dei riformisti inglesi) e affiancato, giusto a proposito, dal punto di vista dell’Economist (sintesi: le teorie di Marx sono il migliore strumento per comprendere il capitalismo attuale e i “riformatori liberali” è bene che ne imparino subito la lezione, se vogliono sfuggire al disastro che li attende!) . La tecnica è semplice: dal discorso complessivo si enuclea un punto, un’affermazione, e tutto si riconduce a questo. Con un metodo del genere si potrebbe ragionevolmente argomentare che Dante era buddista e, perché no?, persino comunista. Mason riporta Marx ai Manoscritti economico-filosofici del 1844, tagliando fuori tutto il resto delle sue opere, per dimostrare che l’unica forma in cui le teorie marxiane possono avere senso oggi è quella di “umanesimo radicale”. Il superamento dei rapporti di produzione capitalistici non sarebbe la dittatura del proletariato e l’espropriazione degli espropriatori, insomma la rivoluzione socialista come scritto nel Manifesto del Partito comunista, bensì la rivoluzione tecnico-economica, spontaneamente indotta dal progresso tecnologico che eliminerà la necessità del lavoro, secondo l’interpretazione che Mason dà del Frammento sulle macchine del 1858.
Eliminati Il capitale e Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte e pure La guerra civile in Francia, cioè la riflessione sulla Comune di Parigi del 1871 prefigurante un modello di comunismo, espunta la lotta di classe, reso l’umanesimo marxista compatibile col capitalismo, di tutto il lavoro di Marx resta una pappina digeribile da un pubblico New Age. E l’autore può felicemente concludere mandando al diavolo insieme al partito ogni soggetto collettivo: “il vero soggetto rivoluzionario è l’io”. Mason confeziona insomma conclusioni opposte a quelle di Marx (il Marx liquidato come “sconfitto e deluso”!) sulla rivoluzione del 1848, in cui la sconfitta del proletariato è attribuita al fatto che la classe ha “rinunciato a trasformare il vecchio mondo coi grandi mezzi collettivi che gli sono propri, e ha cercato di conseguire la propria emancipazione alle spalle della società, in via privata, entro i limiti delle sue meschine condizioni d’esistenza”.
Il che non è sorprendente per questa genia di riformisti che hanno espresso un Tony Blair, quello che si è inventato le armi di distruzione di massa in Iraq per giustificare una guerra imperialista old style e che, nel solco del thatcherismo, ha divulgato la neolingua per cui si chiamano riforme le controriforme neoliberiste. Che c’entra tutto ciò con Marx?
Certo si può e si deve discutere sulla dittatura del proletariato, sulle forme che ha storicamente assunto, sulla forma partito che da Marx ha dedotto Lenin, sulla persistenza della lotta di classe in uno stato socialista, ecc., ma non si può fare un ragionamento serio e onesto partendo da queste premesse mistificanti e sostanzialmente false. Vorremmo avanzare la modesta proposta di misurare il cambiamento reale dello stato delle cose in relazione a modelli più coerenti, per esempio all’assalto al cielo tentato dagli operai della Comune di Parigi: non si dà rivoluzione senza eliminare il dominio delle classe possidenti e degli strumenti del potere (esercito, polizia, chiese), senza funzionari elettivi e revocabili, senza fare dei mezzi di produzione semplici strumenti di lavoro libero e associato. Con questi criteri potremmo forse valutare con onestà le rivoluzioni socialiste e fare storia, come pure progettare con maggiore realismo il cambiamento futuro.
Bravo Giovanni limpido e del tutto condivisibile, un saluto affettuoso Lucia