Gira in questi giorni sulla rete una clamorosa notizia: scorreggiare fa bene, a se stessi e al partner.
I siti (mai parola fu più adatta) su cui troviamo la notizia sono moltissimi. Alcuni estratti dal primo della lista, Blitz quotidiano (https://www.blitzquotidiano.it/salute/loffie-piu-puzzano-piu-fanno-bene-1927443/):
«Un componente chimico presente nelle flatulenze puzzolenti emesse dall’organismo umano durante (e dopo) la digestione, cura molti malanni, secondo uno studio condotto dall’Università di Exeter (Inghilterra). È il solfuro di idrogeno, o acido solfidrico (H2S), che in piccole quantità protegge i mitocondri delle cellule, rendendole più resistenti ai virus e alle malattie. […] Molti scienziati hanno obiettato: “Perché questo fenomeno non è stato mai osservato prima d’ora, visto che si suppone che in media ogni persona emetta 14 flatulenze al giorno, ma è pieno di gente malata nonostante la costante esposizione a queste ‘emissioni’ umane?” Si potrebbe facilmente rispondere che, senza la “costante esposizione alle flatulenze”, ci sarebbero molti più malati in giro».
Poiché la notizia ha cominciato a circolare intorno al I di aprile, ci siamo insospettiti, pensando al solito pesce. Ma qualcosa di vero c’era. E al link https://www.hindawi.com/journals/omcl/2015/186908/ abbiamo trovato un articolo della rivista Oxidative Medicine and Cellular Longevity intitolato Role of Hydrogen Sulfide in Ischemia-Reperfusion Injury. Nell’articolo si spiega che l’acido solfidrico (H2S), velenosissimo in alte concentrazioni, è benefico in opportune dosi per moltissime patologie. Somministrarlo per via esterna è assai problematico, ma per fortuna il nostro organismo lo produce endogenamente. Però lo produce a livello cellulare, dove serve, mentre quello delle ventosità anali è del tutto sprecato.
Quindi, tutto sommato, la notizia era un pesce d’aprile, sia pure ben confezionato.
Ma sentite questa.
Nel 2000 vennero randomizzati 3393 pazienti curati per una infezione del flusso sanguigno in un ospedale negli anni 1990-6. Furono divisi in un doppio cieco: un gruppo di intervento e un gruppo di controllo. È bene aver presente che la storia clinica di questi pazienti nel 2000 era giunta a termine.
Sul gruppo di intervento fu detta una preghiera di intercessione remota e retroattiva e si procedette all’esame di mortalità in ospedale, durata della degenza in ospedale e durata della febbre.
Risultati: la mortalità era del 28,1% (475/1691) nel gruppo di intervento e del 30,2% (514/1702) nel gruppo di controllo. La durata della degenza in ospedale e la durata della febbre erano significativamente più brevi nel gruppo di intervento rispetto al gruppo di controllo.
Conclusioni: La preghiera di intercessione remota e retroattiva dice che un gruppo è associato a una degenza più breve in ospedale e a una durata più breve della febbre in pazienti con una infezione del flusso sanguigno e deve essere considerato per l’uso nella pratica clinica.
Se ne avete voglia potete leggere l’articolo, che si intitola Effects of remote, retroactive intercessory prayer on outcomes in patients with bloodstream infection: randomised controlled trial e che è stato pubblicato dal prestigioso BMJ (British Medical Journal) al link: https://www.bmj.com/content/323/7327/1450
Conclusione: quando la realtà supera la fantasia, chi ci può difendere? Nel caso dei due gruppi di pazienti, per esempio, se la mortalità del gruppo di controllo fosse stata minore, un risultato lo si sarebbe comunque raggiunto: dimostrare la nocività della preghiera remota retroattiva. Oppure si poteva invitare una vergine a orinare sul fascicolo del gruppo di intervento, e avremmo così dimostrato le portentose proprietà dell’urina di vergine. Oppure avremmo potuto sgozzare un gallo sul fascicolo del gruppo di controllo… oppure…
L’idea di non trattenere le flautolenze è espressa chiaramente in quel capolavoro che è La cena di Trimalchione nel Satyricon di Petronio:
Trimalchione fa il suo ingresso in sala. Si asciuga la fronte, si lava le mani con una lozione profumata e poi dice: «Cari amici, perdonatemi, ma già da un po’ di giorni non vado di corpo e i medici non ci capiscono nulla. Tuttavia mi hanno fatto abbastanza bene la scorza di melagrana e l’infuso di resina all’aceto, e spero che il mio intestino torni a fare il suo dignitoso servizio. Se no mi ricomincia questo gorgoglio dalle parti dello stomaco che sembro un toro. Anzi se c’è qualcuno di voi che ha bisogno di andare in bagno, non è proprio il caso di vergognarsene. Nessuno è venuto al mondo senza buchi. E io non penso ci sia tortura peggiore che il doversi trattenere. Questa è l’unica cosa che nemmeno Giove ci può impedire. Ridi, eh Fortunata, proprio tu che di notte non mi lasci chiudere gli occhi? Ad ogni modo anche qui in sala da pranzo io non vieto a nessuno di fare i suoi bisogni, e i medici stessi sconsigliano di trattenersi. Se poi scappa qualcosa di più grosso, lì fuori c’è pronto tutto quello che serve: acqua, pitali e il resto degli accessori. Date retta a me, le flatulenze trattenute salgono al cervello e poi vanno in circolo per tutto il corpo. So che molti ci hanno rimesso la pelle, a forza di non voler guardare le cose in faccia».( Dal Satyricon di Petronio cap. XLVII)